Con l’ordinanza n. 11324 del 26 aprile 2024, la Suprema Corte di Cassazione, I Sezione civile, si è pronunciata in materia di azione di responsabilità promossa dal curatore in danno degli amministratori, con particolare focus sul riparto dell’onere probatorio.
Il Caso
Nel 2013, il Fallimento di una S.p.A. conveniva in giudizio gli amministratori della società fallita dopo avere riscontrato una serie di anomalie contabili, chiedendo la condanna degli stessi al risarcimento del danno per diverse centinaia di migliaia di euro sulla scorta, da un alto, della ritenuta dissipazione della liquidità; dall’altro, dell’ingiustificata conversione di talune somme esigibili nell’anno corrente in somme esigibili nell’anno successivo.
Il Tribunale di prime cura rigettava la domanda rilevando che, nonostante sussistessero forti indizi di falsità nel bilancio di riferimento (bilancio del 2008 mai depositato nel registro delle imprese), i crediti riportato risultavano esigibili; nondimeno, giacché il fallimento era stato dichiarato nel 2010, i medesimi amministratori non avevano avuto modo di avviare la procedura di recupero e, pertanto, andavano esenti da responsabilità in questo senso.
La curatela impugnava la pronuncia del tribunale insistendo, in particolare, sulla scorretta qualificazione della domanda, giacché il fatto allegato non si sostanziava nell’inerzia degli amministratori bensì nella dissipazione delle liquidità esistenti.
Anche la Corte d’appello rigettava la domanda rilevando che, nonostante gli evidenti indizi di irregolarità circa la tenuta delle scritture contabili (rispetto alle quali gli amministratori non erano stati in grado di fornire spiegazione alcuna), la curatela non aveva “individuato la natura del pregiudizio derivato alla società fallita dal dedotto mancato recupero dei crediti societari che, alla data del fallimento (2010) erano da poco divenuti esigibili”.
Il Fallimento, pertanto, proponeva ricorso per Cassazione sulla scorta di due motivi meglio specificati nella depositata memoria.
L’Ordinanza n. 11324 del 26 aprile 2024
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denunciava un vizio di extrapetizione in quanto fatto costitutivo della domanda non era l’inerzia degli amministratori, bensì, da un lato, la dissipazione della liquidità, dall’altro, la conversione di una data somma da “credito esigibile nell’esercizio” a “credito esigibile nell’esercizio successivo”, con la conseguenza che dette poste erano insuscettibili di acquisizione all’attivo fallimentare.
Il secondo motivo, per conseguenza, denunciava la violazione e la falsa applicazione di legge in quanto la Corte territoriale aveva applicato i principi giuridici in materia di allegazione dell’inadempimento e prova del nesso causale e del danno afferente ad un’ipotesi non pertinente: l’omessa o irregolare tenuta delle scritture contabili.
Il Supremo Consesso, esaminati congiuntamente i motivi di doglianza, accoglieva il ricorso.
Invero, dalla ricostruzione prospettava emergeva che la causa pretendi dell’azione di responsabilità proposta ex art. 146. l. fall. (oggi art. 255 CCII) era stata semplicisticamente ridotta dai giudici di merito alla negligenza degli amministratori nel recupero di crediti risultanti dal bilancio al 31/12/2008 (ritenuto dagli stessi giudici irregolare e falso) mentre i fatti specificamente dedotti tracciavano una storia di ingenti liquidità improvvisamente dissoltesi attraverso una ingiustificata riqualificazione come crediti esigibili in esercizi successivi, sforniti di qualsivoglia indicazione utile, in punto di titoli e soggetti debitori, a consentirne il recupero da parte del curatore fallimentare, non avendo pacificamente gli amministratori saputo riferire alcunché in proposito.
Pertanto, gli Ermellini, in ragione della natura contrattuale della responsabilità degli amministratori sociali per danni cagionati alla società, hanno ritenuto che il curatore ben poteva limitarsi alla mera allegazione dell’inadempimento – consistente nella distrazione o dispersione delle risorse – spettando ai convenuti l’onere di provare il corretto impiego ovvero la lecita destinazione.
Sulla scorta di detta motivazione, i Giudici del Palazzaccio accoglievano il ricorso cassando con rinvio la sentenza impugnata.
La Massima
“La responsabilità degli amministratori sociali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché la società stessa (o il curatore, nel caso in cui l’azione sia proposta ex articolo 146 della legge fallimentare) è tenuta ad allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri, come pure a provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestatigli, l’osservanza dei predetti doveri. In conseguenza, a fronte di disponibilità patrimoniali pacificamente fuoriuscite, senza apparente giustificazione, dall’attivo della società, questa, nell’agire per il risarcimento del danno nei confronti dell’amministratore, può limitarsi ad allegare l’inadempimento, consistente nella distrazione o dispersione delle dette risorse, mentre compete allo stesso amministratore la prova del suo adempimento, consistente nella destinazione delle attività patrimoniali in questione all’estinzione di debiti sociali o il loro impiego per lo svolgimento dell’attività sociale, in conformità della disciplina normativa e statutaria.“