Il Fallimento della SuperSocietà di fatto

Con l’ordinanza n. 7031 del 16 marzo 2025, la Suprema Corte di Cassazione, I Sezione Civile, si è pronunciata in materia di Fallimento della SuperSocietà di fatto definendo e precisando che il medesimo può essere desunto dal fallimento dei soci.

Il caso

Con apposita sentenza, il Tribunale di Vibo Valentia ravvisava l’esistenza di una SuperSocietà di fatto tra una pluralità di società e, per l’effetto, su istanza del fallimento di due s.r.l. coinvolte, dichiarava il fallimento della SuperSocietà di fatto e, dunque di tutte le compagnie incluse nonché dei soci illimitatamente responsabili.

A seguito di reclamo, la Corte d’Appello di Catanzaro, precisato che per ravvisare l’esistenza di una SuperSocietà di fatto è necessario riconoscere una gestione comune a tutti i soci univocamente diretta a realizzare il profitto dell’entità complessivamente considerata, in modo che, nella sostanza, le risorse economiche dei vari soggetti coinvolti nella SuperSocietà vengano promiscuamente utilizzate al fine di garantire volta per volta un equilibrio tra profitti e perdite dell’entità complessivamente considerata, osservava che una simile situazione non era stata allegata e provata dalla curatela istante, la quale si era limitata a ipotizzare la possibile esistenza di un fondo comune sulla base di singole operazioni, datate nel tempo, intercorse solo tra alcune delle compagini che si volevano coinvolte nella supersocietà e che non si connotavano affatto nel senso dell’univoca destinazione alla realizzazione del profitto di un soggetto diverso e più ampio di quelli volta per volta coinvolti nell’operazione medesima.

Pertanto, accoglieva il reclamo e revocava la sentenza impugnata.

Con ricorso affidato a ben 4 motivi, i fallimenti delle due s.r.l. impugnavano la decisione della Corte d’Appello.

L’ordinanza n. 7031 del 16 marzo 2025

Con i primi due motivi di ricorso, analizzati congiuntamente, i ricorrenti sostenevano che la Corte territoriale avesse omesso di prendere in esame alcuni fatti decisi per il giudizio – quali accolli reciproci di debiti tributari e l’utilizzo da parte di una società coinvolta della carta di credito di un’altra delle società incluse nella SuperSocietà. Altresì, i ricorrenti ritenevano che la Corte avesse errato nell’escludere la sussistenza della SuperSocietà di fatto e non raggiunta la prova per presunzione della stessa omettendo la valutazione complessiva e di sintesi di tutti gli elementi singolarmente isolati ed esaminati, al fine di accertare se gli stessi fossero concordanti e se la loro combinazione fosse in grado di fornire una valida prova presuntiva.

Con il terzo ed il quarto motivo di ricorso, anch’essi analizzati congiuntamente, i ricorrenti sostenevano dapprima che la Corte avesse errato nel ritenere la sentenza di primo grado nulla e viziata da motivazione apparente nella parte in cui ha accertato lo stato di insolvenza della SuperSocietà di fatto; inoltre, aveva altresì erroneamente ritenuto che alla SuperSocietà di fatto occulta non potesse essere imputata, nel suo complesso, l’attività svolta dalle società socie e che le attività di queste ultime, ciascuna “incaricata” di una singola frazione, non potessero costituire oggetto sociale della prima.

Gli Ermellini, esaminato il ricorso, hanno ritenuto il medesimo fondato.

In ordine ai primi due motivi di ricorso, il Supremo Consesso ha precisato che la Corte ha passato in rassegna partitamente alcune singole vicende portate al loro esame, ma non si è affatto preoccupata di effettuare, dapprima, una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentassero una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria e ha del tutto tralasciato, in seguito, la doverosa valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati allo scopo di accertare se gli stessi fossero concordanti e se la loro combinazione fosse in grado di fornire una valida prova presuntiva, quand’anche la stessa non potesse dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi.

Per ciò che concerne, invece, il terzo ed il quarto motivo, anch’essi analizzati congiuntamente, gli Ermellini hanno in primo luogo precisato che la SuperSocietà si caratterizza per il fatto che nella stessa tutti i soci perseguono un comune intento sociale, ma non necessita affatto che l’impresa comune sia diversa da quella esercitata, nella sua complessità, dal fallito e dai suoi soci occulti.

Di conseguenza, nel caso di coincidenza dell’attività di impresa della SuperSocietà e, complessivamente, dei soggetti suoi soci, che l’insolvenza di questi ultimi può contribuire a ravvisare la condizione di insolvenza della prima, essendo dipendente dalla medesima attività imprenditoriale.

La dichiarazione di fallimento della cd. SuperSocietà postula, tra l’altro, il riscontro di una “autonoma e affatto propria insolvenza” della supersocietà “anche eventualmente muovendo – quale fatto indiziante – dalla rilevazione dell’insolvenza di uno o più soci, ovvero del socio cui era inizialmente imputabile l’attività economica, ma senza alcuna automatica traslazione ovvero dogmatico esaurimento in esse della prova richiesta, come per tutti gli insolventi fallibili, dall’art. 5 L.Fall.”.

Precisamente, nel caso in cui, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale (o, come detto, di una società), risulti che la relativa “impresa” è, in realtà, “riferibile” a una società di fatto tra il soggetto già fallito e uno o più soci occulti, che possono essere a loro volta altre società o persone fisiche, i debiti assunti (sia pur in nome proprio) dal soggetto (imprenditore individuale o società) già fallito in relazione all’impresa sostanzialmente sociale che ne costituisce l’oggetto sono, in realtà, giuridicamente imputabili alla società occulta o di fatto della quale questi era, appunto, socio, avendo egli agito per conto della stessa, in sua rappresentanza, ai sensi dell’art. 2297, comma 2, c.c..

Allo stesso modo, in forza della medesima norma, sono giuridicamente imputabili alla SuperSocietà occulta, ove riferibili alla predetta impresa comune, i debiti assunti, in nome proprio ma per conto della stessa, dagli altri soci occulti successivamente risultati.

Ma se i debiti assunti (sia pur in nome proprio) dal soggetto (imprenditore individuale o società) già fallito in relazione all’impresa sociale sono, in realtà, giuridicamente imputabili alla società occulta o di fatto successivamente emersa, l’insolvenza di tale società, seppur autonoma, può essere, allora, senz’altro direttamente desunta da tali debiti e dall’impossibilità della stessa di farvi fronte con mezzi normali di pagamento, ai sensi dell’art. 5 L.Fall.

Sulla scorta di tale iter argomentativo, il Supremo Consesso ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata.

La massima

La SuperSocietà di fatto si caratterizza per il fatto che nella stessa tutti i soci perseguono un comune intento sociale, ma non necessita affatto che l’impresa comune sia diversa da quella esercitata, nella sua complessità, dal fallito e dai suoi soci occulti. Di conseguenza, nel caso di coincidenza dell’attività di impresa della SuperSocietà e, complessivamente, dei soggetti suoi soci, che l’insolvenza di questi ultimi può contribuire a ravvisare la condizione di insolvenza della prima, essendo dipendente dalla medesima attività imprenditoriale”.

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