Conto corrente cointestato e compensazione pro quota

L’ordinanza n. 10024 del 14 aprile 2023 della Suprema Corte di Cassazione ha ben definito i precisi margini entro cui, in presenza di un conto corrente cointestato, la compensazione dei crediti – vantati dalla banca, nei confronti di solo uno dei due correntisti – può operare legittimamente e senza recare alcun danno agli interessi del correntista cointestatario non debitore.

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Il caso

Nel caso di specie, il conto corrente cointestato – col «relativo dossier titoli» – presso la banca Beta s.p.a. (già Alfa s.p.a.) era quello di due sorelle, Gaia e Sempronia. La seconda delle due sorelle (Sempronia) «si era resa garante delle obbligazioni assunte nei confronti della banca dalla Gamma Srl e dalla Delta Srl». L’altra sorella (Gaia), a seguito del «mancato pagamento di un assegno bancario di Euro 10.100,00», esaminando l’estratto conto periodico, veniva a scoprire che «nell’agosto 2013, la banca aveva prelevato d’ufficio la somma di Euro 60.300,00 per “esercizio diritto di compensazione” e, con analoga motivazione, l’ulteriore somma di Euro 55,550,00, ricavato dalla vendita delle obbligazioni X e Y, cointestate alle due sorelle, e mai autorizzata». Entrambe le operazioni automatiche – ad avviso della banca – erano giustificate, essendo state annotate a titolo di escussione della già richiamata garanzia prestata da Sempronia. La correntista non debitrice Gaia, al contrario, considerava del tutto arbitrarie queste operazioni e pertanto chiedeva la «restituzione della somma di Euro 57.925,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, indebitamente prelevata d’ufficio mediante addebito su conto corrente», nonché il risarcimento dei danni subiti a causa del mancato pagamento del già citato assegno bancario «tratto su tale conto». La difesa di Gaia evidenziava in special modo la circostanza secondo cui l’assegno «non era stato pagato, senza che ne venisse elevato protesto, per carenza di provvista» e, tuttavia, al momento della richiesta di pagamento del titolo, il conto presentava «un saldo attivo sufficiente».

In primo grado, il giudice respingeva sia le domande di Gaia che quelle presentate da Sempronia, in via riconvenzionale, a seguito della sua chiamata in giudizio da parte della banca. La correntista debitrice aveva chiesto, nello specifico, che l’istituto di credito venisse condannato alla «restituzione delle somme indebitamente prelevate sul conto corrente», nonché al «risarcimento dei danni per violazione dei principi di trasparenza, buona fede, diligenza e correttezza nello svolgimento del rapporto contrattuale».

La Corte d’Appello confermava le conclusioni del giudice delle prime cure, respingendo «gli autonomi gravami interposti dalle due sorelle», coi seguenti rilievi, così sinteticamente espressi in sede di motivazione: per quanto concerneva le «operazioni di “prelievo” poste in essere dalla banca», era da considerare applicabile «la responsabilità solidale dei cointestatari ai sensi dell’art. 1854 c.c. e non vi erano circostanze ostative all’operatività della compensazione»;  la condotta della banca, pertanto, «non poteva considerarsi contraria a buona fede».

Ricorreva, quindi, in Cassazione Gaia, articolando l’impugnazione in tre motivi. Tre motivi di ricorso venivano separatamente depositati anche da Sempronia. Resisteva la Beta SPA (già Alfa SPA), depositando due separati controricorsi.

 

L’Ordinanza n. 10024 del 14 aprile 2023

La S. C., dopo aver riunito i due ricorsi, «in ragione del principio dell’unità dell’impugnazione» e qualificato il successivo – quello di Sempronia  – come ricorso incidentale (sul punto, cfr. SS.UU. n. 9232/2002), esamina preliminarmente, «per motivi di ordine logico-giuridico», il secondo motivo del ricorso principale e di quello incidentale ritenendoli entrambi «in parte, infondati e, in parte, inammissibili». In estrema sintesi, entrambe le parti ricorrenti, domandavano «la nullità della sentenza per motivazione inesistente o, comunque, apparente», censurando il ragionamento col quale il collegio giudicante aveva ritenuto applicabile la compensazione, nel caso di specie, sulla scorta del combinato disposto del dato normativo con quello negoziale. Tali censure, ad avviso degli Ermellini, sono da respingere in quanto il dato negoziale è stato citato solo come coerente supporto argomentativo nel ragionamento dei giudici del gravame, mentre il punto centrale della loro argomentazione era inerente all’applicabilità degli artt. 1853 e 1854 c.c., con la prima disposizione che «consentiva la compensazione dei reciproci debiti della banca e del correntista, traendo origine da rapporti diversi, a nulla rilevando il fatto che uno dei rapporti fosse riconducibile anche ad altro soggetto» e la seconda norma che giustificava «la compensazione dei reciproci debiti della banca e del correntista anche laddove il conto corrente fosse cointestato, in ragione del regime della solidarietà vigente nei rapporti tra banca e correntista». In tal senso, la motivazione sussiste e l’argomentazione non risulta meramente apparente.

Nondimeno, è il primo motivo del ricorso principale – «violazione e falsa applicazione degli artt. 1302, 1853 e 1854 c.c., nonché la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.» – a risultare fondato, una volta espunto, per le ragioni già esposte, il collegamento difensivo (non conferente) tra il dato normativo e le disposizioni negoziali. Le argomentazione della Corte d’Appello – come si è visto – non si fondavano infatti sul rilievo del dato negoziale ma, esclusivamente, su quello di natura normativa. L’errore del collegio giudicante, in definitiva, è stato quello di considerare il dispositivo degli artt. 1853 e 1854 c.c. come diritto speciale che avrebbe, quindi, permesso di operare in deroga alla normativa generale di cui all’art. 1302 c.c. Questa argomentazione non trova fondamento nel sistema delle fonti del nostro ordinamento.

È appena il caso di ricordare come il secondo comma dell’art. 1302 c.c. preveda «la regola dell’efficacia pro quota dell’eccezione di compensazione opposta dal debitore ad uno dei creditori». L’ordinamento ha ritenuto opportuno, in sostanza, stabilire una limitazione al «potere dispositivo del creditore», anche in ossequio alle «esigenze di tutela del concreditore», al quale resterebbe diversamente la sola possibilità di «agire, in via di regresso, contro gli altri concreditori». Le due disposizioni che, ad avviso del collegio giudicante di secondo grado, renderebbero lecita la mancata applicazione di tale regola al caso di specie, prevedono rispettivamente che: a) «se tra la banca e il correntista esistono più rapporti o più conti […], i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente, salvo patto contrario» (1853 c.c.); b) «nel caso in cui il conto sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto» (1854 c.c.). Per quanto riguarda l’art. 1853, la consolidata giurisprudenza della S. C. ammette l’operatività della compensazione legale «attraverso l’immissione del saldo di un conto, come posta passiva, in un altro conto ancora aperto» (cfr. Cass. 23 gennaio 2020, n. 1445), purché «il saldo attivo o passivo di un conto risulti esigibile in un momento in cui sia in corso un distinto rapporto di conto corrente, nel quale la posta attiva o passiva proveniente dall’altro conto possa essere annotata» (cfr. Cass. 5 febbraio 2009, n. 2801). L’art. 1854 c.c., invece, nel definire «la solidarietà dei cointestatari del conto corrente sia dal lato attivo, sia dal lato passivo, nei confronti della banca in ordine al saldo del conto corrente», in ultima analisi, è espressione del principio dell’«unicità del rapporto e del conto corrente». Resta fermo, in ogni caso – per costante applicazione giurisprudenziale – il dispositivo del secondo comma dell’art. 1298 c.c., «in base al quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali (cfr. Cass. 4 gennaio 2018, n. 77; Cass. 2 dicembre 2013, n. 26991; Cass. 19 febbraio 2009, n. 4066)», dacché se ne deduce che la solidarietà tra i correntisti ex art. 1854 c.c. «riguarda unicamente i rapporti tra cointestatari e la banca», mentre «sono estranei alla sua sfera di operatività i rapporti interni tra i correntisti cointestatari». Soprattutto, poiché «la solidarietà è predicata solo con riferimento al saldo del conto cointestato», chiaramente, essa non può essere invocata «con riferimento a rapporti che i cointestatari del conto […] intrattengono con la banca in virtù di un distinto rapporto contrattuale». Ed è esattamente quest’ultima eventualità ciò che è avvenuto nel caso di specie, laddove la compensazione è stata praticata d’ufficio dalla banca sulla scorta di una esposizione debitoria che era della sola Sempronia e derivava da rapporti contrattuali distinti e separati.

Per tutti questi motivi, la Suprema Corte ha ribadito che: 1) «la banca non può […] operare la compensazione del credito vantato nei confronti di uno dei cointestatari, non regolato nel conto corrente cointestato, in misura superiore alla quota del saldo di spettanza di quest’ultimo», facendo salve, ovviamente, le eventuali differenti disposizioni delle parti in proposito; 2) «diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello, il principio dell’efficacia pro quota dell’eccezione di compensazione nelle obbligazioni solidali non riceve deroghe dalla disciplina tipica del contratto di conto corrente».

Da ultimo, è opportuno soffermarsi anche sul primo motivo – anch’esso fondato – del ricorso incidentale, in quanto consente di comprendere ancora meglio gli errori fatti dal collegio, in sede di gravame, nell’interpretare il dato normativo in relazione alla situazione di fatto realizzatasi. La difesa di Sempronia denunciava nello specifico la «violazione e falsa applicazione degli artt. 1341 e 1853 c.c.», per il fatto che la Corte d’Appello «ha ritenuto lecita la compensazione operata dalla banca mediante trasferimento di poste attive sul conto corrente e smobilizzo di titoli» e, contestualmente, «ha escluso il carattere vessatorio dell’art. 9 delle condizioni generali di contratto, ritenendo, conseguentemente, inapplicabile e, comunque, rispettata, la disciplina di cui all’art. 1341 cpv. c.c.». Come si è già evidenziato più volte, i giudici del gravame hanno considerato necessaria e sufficiente a giustificare la compensazione come operata dalla banca la sola disciplina degli artt. 1853 e 1854 c.c. In particolare, il collegio ha escluso la vessatorietà delle clausole negoziali richiamate (artt. 9 e 15 delle Condizioni generali di contratto), «in quanto coerenti e non contrastanti con la disciplina di legge». Ma, appunto, la disciplina dell’art. 1853 c.c., come si è visto, permette «la compensazione tra saldi attivi e passivi […] mediante annotazioni in conto», e, più esattamente, «attraverso la immissione del saldo di un conto, come posta passiva, in un altro conto ancora aperto, con le modalità proprie di tale tipo di operazione». Pertanto, non è assolutamente coerente con tale previsione di legge, l’intervento molto più invasivo messo in atto dalla banca – nello specifico, col «trasferimento di poste attive da un conto deposito a un conto corrente» e con lo «smobilizzo unilaterale di fondi obbligazionari e dossier titoli» – e, di conseguenza, «la sentenza impugnata va, dunque, cassata con riferimento ai motivi accolti e rinviata, anche per le spese, alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione».

 

Le massime

  1. In tema di contratto di conto corrente, il principio dell’efficacia “pro quota” dell’eccezione di compensazione nelle obbligazioni solidali non riceve deroghe sicché la banca non può, a meno che le parti non abbiano diversamente disposto, operare la compensazione del credito vantato nei confronti di uno dei cointestatari, non regolato nel conto corrente cointestato, in misura superiore alla quota del saldo di spettanza di quest’ultimo (Cassazione, massimario).
  2. In materia di restituzione di somme indebitamente prelevate d’ufficio dalla banca mediante addebito su conto corrente, se tutti i rapporti contrattuali con la banca sono cointestati troverà applicazione il principio di unicità dei conti con possibilità di compensare interamente i saldi, mentre se, a fronte di un conto corrente cointestato, soltanto uno dei correntisti intrattiene altri rapporti con l’istituto di credito, la compensazione può esclusivamente riguardare la quota di attivo imputabile al correntista debitore (Quotidiano Giuridico).

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