La Cassazione sui disservizi ferroviari: gli indennizzi contrattuali non impediscono di ottenere anche il risarcimento del danno

Con l’ordinanza n. 28244 del 9 ottobre 2023 la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito un suo ormai consolidato orientamento in tema di rimedi ordinamentali alle varie ipotesi di disservizio ferroviario: in caso di considerevole ritardo del treno e situazioni analoghe, fonte di concreto ed effettivo danno comprovato per l’utenza, la previsione di ipotesi di indennizzo di natura contrattuale non preclude la possibilità di ottenere il risarcimento, anche come voce di danno non patrimoniale, all’occorrenza.  

 

Indice

 

Il caso

La vicenda, pur essendo in realtà assai comune per quanto concerne il fatto causativo del danno lamentato (ovvero il ritardo di un treno regionale), aveva la sua peculiarità distintiva proprio nell’entità abnorme del ritardo accumulato nel corso di un viaggio durato complessivamente circa ventiquattro ore. Sempronia aveva pertanto chiesto e ottenuto un adeguato ristoro al Giudice di pace, evidenziando in particolar modo il fatto che la Gamma S.p.a. – l’azienda di trasporto ferroviario – non avesse minimamente garantito, ai fruitori del servizio, delle soluzioni alternative praticabili che potessero permettere a tutti di far fronte, in qualche modo, ai problemi riscontrati sulla tratta. In sostanza, l’azienda non aveva minimamente rispettato gli obblighi di assistenza previsti dalla normativa eurounitaria per le ipotesi di ritardi superiori ai sessanta minuti, costringendo al contrario i passeggeri a un travagliato viaggio notturno di oltre ventitré ore senza garantire né un adeguato supporto di cibo, né il necessario riscaldamento, né la possibilità di riposare.

Sul punto, vale la pena di ricordare che, in base all’art. 18 del Regolamento (CE) n. 1371/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio (Diritti e obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario), i soggetti deputati alla gestione del trasporto ferroviario sono tenuti, innanzi tutto, a fornire tempestive informazioni in merito agli eventuali ritardi dei treni in partenza e in arrivo. Ma l’assistenza che va garantita ai passeggeri in difficoltà non si limita a questo mero dovere di informazione: «in caso di ritardo […] di oltre 60 minuti», è prevista infatti – gratuitamente e nei limiti di quanto sia concretamente possibile – una fornitura di «pasti e bevande in quantità ragionevole in funzione dei tempi di attesa», una «sistemazione in albergo o di altro tipo, e il trasporto tra la stazione ferroviaria e la sistemazione, qualora risulti necessario un soggiorno di una o più notti o un soggiorno supplementare» e «se il treno è bloccato sui binari, il trasporto tra il treno e la stazione ferroviaria, a un punto di partenza alternativo o alla destinazione finale del servizio». In ogni caso, «se il servizio ferroviario non può più essere proseguito», il gestore – nel più breve tempo possibile – dovrà provvedere a organizzare «servizi di trasporto alternativi per i passeggeri».

Nel caso di specie, il giudice di pace – riscontrato il ritardo abnorme accumulato nel corso del viaggio e la contestuale carenza di assistenza, anche in riferimento alla normativa unionale – in accoglimento della domanda attorea condannava pertanto la società ferroviaria «al pagamento della somma di cinque Euro e venticinque centesimi a titolo di indennizzo da ritardo, e della somma di Euro quattrocento […] a titolo di risarcimento del danno esistenziale».

Il Tribunale, in funzione di giudice del gravame, confermava successivamente le valutazioni del giudice delle prime cure e, di conseguenza, respingeva l’impugnazione della Gamma S.p.a. che aveva dedotto, in rito, l’incompetenza del GdP e, nel merito, «l’insussistenza del liquidato danno esistenziale».

La società ferroviaria proponeva infine il ricorso per cassazione, articolandolo in sette motivi, con successivo deposito di memoria. Resisteva Sempronia con controricorso.

 

L’Ordinanza n. 28244 del 9 ottobre 2023

La S. C. rigetta il ricorso della compagnia, precisando in primo luogo che, poiché si è in presenza di una «doppia decisione conforme da parte dei giudici di merito», la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare la diversità della «ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello» (cfr. Cass. 26774/2016 e Cass. 20994/2019). In assenza della predetta dimostrazione, le «deduzioni di omesso esame» sono pertanto inammissibili in quanto rivolte, in sostanza, «a proporre una rilettura istruttoria» dei fatti di causa, come tale, del tutto incompatibile col giudizio di legittimità.

Nondimeno, la Corte esamina in ogni caso il terzo motivo di ricorso – «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360  c.p.c., comma 1, n. 5» – limitatamente alla sua connessione col secondo, ovvero la «violazione o falsa applicazione di norme di diritto […] ai sensi dell’art. 360  c.p.c., comma 1, n. 3». Tra le norme richiamate nel secondo motivo di ricorso vi era appunto anche il già citato art. 18 del Regolamento (CE) n. 1371/2007, i cui doveri di assistenza ai passeggeri, ad avviso della difesa della società di trasporto, non erano esigibili dall’utenza «a fronte dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione per evento fortuito o causa di forza maggiore», anche «in relazione alla mancata previsione, da parte del Centro Operativo Territoriale e dell’Ente Gestore delle Infrastrutture, della sospensione del servizio», reclamata col terzo motivo. La S. C., sul punto, sottolinea come la difesa stia cercando nuovamente di introdurre nel giudizio di legittimità una inammissibile diversa valutazione dei fatti «ampiamente scrutinati dal Tribunale […], anche mediante richiamo della sentenza del Giudice di pace, come risulta da quanto esposto alle pag. 8 e seguenti della sentenza impugnata». Nello specifico, entrambe le corti del merito avevano «constatato l’oggettività del ritardo di quasi ventiquattro ore e l’omissione di ogni adeguata assistenza», precisando altresì che gli allegati bollettini meteo erano talmente chiari nel prevedere le perturbazioni da «dover indurre l’esercente il servizio di trasporto ferroviario […] a predisporre, con precauzionale diligenza, misure organizzative di assistenza», e ciò «al di là quindi delle pur possibili evoluzioni ulteriormente peggiorative» e dalla conseguente «possibilità di porle in essere, in forma ridotta, una volta concretizzata la situazione di emergenza». In definitiva, è proprio la totale mancanza di un seppur minimo piano di assistenza a dare pieno sostegno e fondamento alla domanda risarcitoria.

Sussiste quindi il danno ed è corretta la qualificazione che ne è stata data dai giudici di merito come danno esistenziale, quale voce di danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. In tal senso è del tutto infondata la tesi del quinto motivo di ricorso, che ne denuncia la violazione e falsa applicazione, in connessione con gli artt. 1218, 1223 e 1225 c.c., come ipotesi di «risarcimento del danno non patrimoniale derivante da inadempimento del contratto». Come è stato ampiamente chiarito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (cfr. Cass. SS. UU. n. 26972/2008), il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. va risarcito nei soli casi previsti dalla legge, che – con interpretazione costituzionalmente orientata – tendono a includere non solo le ipotesi di legge che specificamente richiamano la norma (cfr. art 89 c.p.c e artt. 185, 187 c.p.) ma anche tutti quei casi in cui «il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale». Questa voce di danno riguarda quindi anche «situazioni giuridiche soggettive di rango costituzionale lese senza condotte integranti reato», ovvero quello che le corti del merito hanno individuato, nel caso di specie, sulla scorta di quanto prodotto in giudizio «proprio perché ciò che sostanzialmente era stato allegato, risponde alla tutela della libertà di autodeterminazione e di movimento che trova riconoscimento nella superiore normativa della Carta costituzionale». Ricorre inoltre anche quella «soglia di sufficiente gravità e serietà, individuata in via interpretativa da questa Corte, quale limite imprescindibile della tutela risarcitoria», dato che «il Tribunale, richiamando l’accertamento del giudice di prime cure, ha evidentemente quanto ragionevolmente ritenuto il travagliato viaggio di quasi ventiquattro ore continuative in defatiganti condizioni di carenza di cibo, necessario riscaldamento e possibilità di riposare, un’offesa effettivamente seria e grave all’individuabile e sopra rimarcato interesse protetto, tale da non tradursi in meri e frammentati disagi, fastidi, disappunti, ansie o altro tipo di generica insoddisfazione (cfr. Cass. n. 14886 del 31/05/2019)».

Gli Ermellini evidenziano quindi l’infondatezza anche del sesto motivo di ricorso in quanto non si può certo ravvisare una ipotesi di «concorso colposo del creditore», nel caso in esame, dato che la pretesa di «astenersi dal mettersi in viaggio» era assolutamente inesigibile, non essendo in presenza di informazioni «tali da far prevedere che il tragitto non si sarebbe concluso in tempi ragionevoli», anche in considerazione del fatto che, così facendo, «la Sempronia si sarebbe trovata nella necessità di fare fronte al reperimento di un luogo ove soggiornare, a OMISSIS o nel corso del travagliato tragitto, a sue esclusive spese».

Del tutto inconferente è anche la tesi che sostanzia la totale infondatezza del settimo motivo: la normativa nazionale ed unionale richiamata («art. 32 C.I.V., Allegato I al Regolamento CE n. 1371/2007»), se è vero che ha lo scopo di «assicurare forme di “indennizzo” per le ipotesi di cancellazione o interruzione o ritardo nel servizio», di certo non ha la finalità di «impedire che, qualora ne sussistano i presupposti, sia accolta la domanda giudiziale di risarcimento di ulteriori pregiudizi tutelati e lesi».

Da ultimo, la S. C. fa rilevare la mancanza di alcun pregio giuridico nelle doglianze di cui al primo e al quarto motivo di ricorso, entrambi inammissibili, rispettivamente perché, nel primo caso, la difesa della compagnia ferroviaria «censura malamente il criterio di riparto dell’onere probatorio», proponendo una diversa lettura dei fatti di causa, che non spiega né dimostra come il giudice di merito abbia «applicato in modo errato l’art. 2697 c.c.», mentre, nel secondo caso, l’omessa motivazione non sussiste, «alla stregua dell’orientamento nomofilattico (Sez. U. n. 8053 del 7/04/2014 Rv. 629831 – 01), qualora la motivazione della sentenza impugnata raggiunga la soglia del cd. minimo costituzionale», ciò che è incontestabile, in presenza di una sentenza «diffusamente e congruamente motivata in punto di diritto», come quella del caso di specie.

Per tutti questi motivi, la Corte, nel respingere il ricorso di Gamma S.p.a, dispone altresì non solo la condanna alle spese – «che liquida in Euro 900,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge» – ma anche quella «al pagamento di Euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, in favore della controricorrente Sempronia», essendo qui ravvisabili, «in termini oggettivi dagli atti del processo o dalle condotte processuali» (cfr. «Cass. n. 26545 del 30/09/2021  Rv. 665014 – 02»), tutti gli elementi tipici della lite temeraria, ovvero «esercizio ad opera della parte soccombente delle sue prerogative processuali in modo abusivo, cioè senza tener conto degli interessi confliggenti in gioco, sacrificandoli ingiustificatamente o sproporzionatamente in relazione all’utilità effettivamente conseguibile, da desumersi».  

 

La massima

In tema di tutela cui è tenuto il prestatore del servizio di trasporto ferroviario la normativa, nazionale e comunitaria, è volta ad assicurare forme di “indennizzo” per le ipotesi di cancellazione o interruzione o ritardo nel servizio, ma non impedisce che, qualora ne sussistano i presupposti, sia accolta la domanda giudiziale di risarcimento di ulteriori pregiudizi (Quotidiano Giuridico).

 

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