Decreto ingiuntivo non opposto, su credito derivante da un contratto tra consumatore e professionista

La sentenza n. 9479 del 6 aprile 2023 della Cassazione civile, a Sezioni Unite, ha offerto una interessante soluzione ai problemi interpretativi che erano emersi, a partire dal 17 maggio 2022, a seguito delle coeve pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) in materia consumeristica, al fine di garantire l’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti riconosciuti al consumatore dalla direttiva 93/13/CEE, con specifico riferimento alle cosiddette nullità di protezione, rispetto a eventuali clausole abusive presenti nei contratti stipulati tra consumatori e professionisti.

 

Indice

 

Il caso

La controversia trae origine, appunto, da un contratto di fideiussione col quale la consumatrice Gaia – qualità che, nel mutato orientamento giurisprudenziale, ormai spetta anche ai fideiussori, indipendentemente dalla qualifica del debitore principale – si era resa garante delle obbligazioni assunte da una società di costruzione verso l’istituto di credito che le aveva fornito la liquidità di cui l’impresa edile aveva bisogno. All’esito di un vano tentativo di escussione della garanzia, parte creditrice, per le somme dovute, chiedeva e otteneva presso il Tribunale di Sondrio il decreto ingiuntivo, n. 706-2011, non opposto. Tale titolo esecutivo veniva, quindi, utilizzato per intervenire nella procedura esecutiva RGE n. 417-2014, espropriazione immobiliare intrapresa avverso Gaia, presso il Tribunale di Busto Arsizio, da altro creditore, in forza di un mutuo ipotecario rimasto inadempiuto. La posizione creditoria associata al decreto ingiuntivo non opposto, nelle more del giudizio, veniva ceduta ad ALFA Srl, altra società di credito, che a sua volta interveniva nella predetta espropriazione. La vendita dei beni immobili espropriati si concludeva al prezzo di euro 265mila, ma Gaia contestava il progetto di distribuzione di tale somma, depositato dal Giudice dell’Esecuzione (GE), adducendo nello specifico «l’insussistenza del diritto di credito della cessionaria ALFA Srl in ragione della nullità del titolo costituito dal decreto ingiuntivo n. 706-2011, giacché emesso da giudice territorialmente incompetente». La difesa di Gaia, in estrema sintesi, contestava la validità della clausola contrattuale in base alla quale si poneva in essere una deroga illegittima al foro del consumatore (ovvero il Tribunale di Busto Arsizio, suo comune di residenza). Nondimeno, il GE, con ordinanza del 24 ottobre 2020, dichiarava esecutivo il progetto di distribuzione depositato. Conseguentemente, Gaia proponeva opposizione ex art. 617 c.p.c., ma il giudice dell’opposizione, pur ammettendo la correttezza del richiamo alla disciplina consumeristica, qualità che, come visto, senz’altro spetta alla garante, rigettava l’opposizione in quanto il rimedio per farla valere in maniera tale da essere compatibile col diritto eurounitariol’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. – risultava non tempestivamente esercitato.

Per la cassazione di tale sentenza, Gaia proponeva ricorso straordinario ex art. 111 Cost., con due motivi, i quali – sotto il profilo dell’effettività della tutela del consumatore – evidenziavano una scorretta interpretazione della direttiva europea 93-13 e dell’art. 19 del TUE. In sostanza, a fronte di un decreto ingiuntivo non opposto, risultavano frustrate sia l’esigenza di «un secondo controllo d’ufficio nella fase dell’esecuzione sulla abusività delle clausole contrattuali», sia quella di «una successiva tutela, una volta spirato il termine per proporre opposizione nei confronti del decreto ingiuntivo». Successivamente, nelle more del giudizio di legittimità, la garante rinunciava al ricorso ma il pubblico ministero chiedeva che, con l’estinzione del giudizio, la Suprema Corte intervenisse in funzione nomofilattica, ex art. 363 c.p.c., con enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, «a fronte della particolare rilevanza della questione e della situazione di grave incertezza interpretativa determinata dalle quattro recenti sentenze del 17 maggio 2022 della Corte di Giustizia, tutte relative ad analoghe vicende, inerenti le sorti del giudicato nazionale dinanzi alla normativa eurounitaria qualificata inderogabile dalla CGUE». Il Primo Presidente – aderendo alla richiesta del Presidente titolare della Terza sezione civile che gli rimetteva il ricorso, evidenziando come questo ponesse «una questione di massima di particolare importanza», relativa a «materie di competenza tabellare di diverse Sezioni civili della Corte» – assegnava infine il ricorso alle Sezioni Unite civili.

Le sentenze della CGUE del 17 maggio 2022

L’intervento ai sensi dell’art. 363 c.p.c. riguarda, pertanto, la tutela consumeristica di cui alla direttiva 93/13/CEE, con specifico riferimento al decreto ingiuntivo non opposto emesso in favore di un professionista, laddove, in sede esecutiva, il consumatore abbia fatto emergere «l’omesso rilievo officioso del giudice del procedimento monitorio su una clausola abusiva (nella specie, di deroga del foro del consumatore) presente nel contratto fonte di quel credito». Nel potenziale conflitto tra principio del giudicato, secondo il diritto interno, e normativa consumeristica di diritto dell’UE, il controllo sull’abusività della clausola contrattuale, in concreto, spetta o meno al giudice dell’esecuzione?

La CGUE, nelle cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza, ha posto alcuni paletti che è necessario richiamare, seppur sinteticamente, per meglio comprendere l’articolato ragionamento delle SS.UU. e la soluzione che è stata messa a disposizione degli interpreti, in attesa di un eventuale (e comunque auspicabile) intervento normativo che possa sciogliere, a monte, tutti gli eventuali nodi che permangono irrisolti.

La Corte di Giustizia UE, in estrema sintesi, ha sostenuto che qualora «il consumatore non abbia fatto opposizione avverso un decreto ingiuntivo non sorretto da alcuna motivazione in ordine alla vessatorietà delle clausole presenti nel contratto concluso con il professionista e posto a fondamento del credito azionato da quest’ultimo», al fine di rendere effettiva la tutela afferente alla disciplina consumeristica delle cosiddette nullità di protezione, sarà necessaria, in ogni caso, almeno una fase giurisdizionale di motivato controllo della regolarità del contratto che il contraente non professionista ha sottoscritto. Nello specifico, sul punto, la CGUE si espressa in questi termini: «al fine di ovviare allo squilibrio esistente tra consumatore e professionista, il giudice nazionale è tenuto a esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 (clausola abusiva che, ai sensi della norma imperativa di cui all’art. 6, par. 1, non vincola il consumatore), laddove disponga degli elementi di diritto e di fatto a tal riguardo necessari». Sicché, se si considera il valore «dell’interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva» mette in campo, per una effettiva ed efficace protezione dei consumatori, «una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall’autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo», logicamente, si pone in contrasto con «l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali». Per tutti questi motivi, quindi, in assenza di un motivato esame, in merito alla conformità del contratto alle predette previsioni della direttiva in parola, «la “valutazione” (il “controllo”) sull’eventuale carattere abusivo di dette clausole deve poter essere effettuata dal giudice dell’esecuzione dinanzi al quale si procede per la soddisfazione di quel credito».

La lettura delle Sezioni Unite

Le SS.UU., in primo luogo, richiamano il consolidato e granitico orientamento della S. C. di Cassazione sull’efficacia di giudicato che si viene a realizzare, in ipotesi di mancata opposizione al decreto ingiuntivo, «non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sugli accertamenti che ne costituiscono i necessari e inscindibili antecedenti o presupposti logico-giuridici».

Nondimeno, la centralità della disciplina di diritto UE per la protezione dei consumatori è altrettanto solida e, in special modo, gli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13, più volte menzionata, prevedono che, nel rapporto contrattuale tra professionista e consumatore, la legge intervenga per sanare lo squilibro strutturale tra le due posizioni, che sussiste «sia sotto il profilo del potere negoziale, che per il livello di informazione». Questa funzione normativa di riequilibrio delle posizioni, tutela in concreto il consumatore proprio in sede processuale, attraverso «il dovere del giudice investito dell’istanza di ingiunzione di esaminare d’ufficio il carattere abusivo della clausola contrattuale e di dare conto degli esiti di siffatto controllo». Se, pertanto, il giudice della fase monitoria non dà motivato riscontro del necessario controllo sull’eventuale presenza di clausole abusive nel contratto da cui deriva il credito azionato, l’interpretazione vincolante della CGUE altro non fa che trarre le logiche conseguenze, per cui non ci può essere «formazione, stabile e intangibile, di un giudicato», a causa delle «questione pregiudiziale pretermessa (concernente, per l’appunto, l’assenza di vessatorietà delle clausole del contratto)». Sarà dunque «nella contigua sede esecutiva, dove si procede per l’attuazione del diritto accertato», che si provvederà alla «riattivazione del contraddittorio impedito».

Questa ricostruzione, a ben vedere, risulta perfettamente coerente con la «tradizionale e icastica descrizione della scansione processuale del procedimento monitorio», evidenziando nello specifico come sussista una innegabile carenza nella c.d. provocatio ad opponendum. Sul punto, è appena il caso di ricordare come Cass. SS.UU. 1 marzo 2006, n. 4510 chiarisca che il debitore ingiunto si debba attivare entro un certo termine, proprio al fine di evitare che si formi «il giudicato o la c.d. “preclusione da giudicato“», ovvero la c.d. impositio silentii sul provvedimento d’ingiunzione emesso. Sotto questo profilo, «è proprio l’impedimento al contraddittorio, differito, sulla pregiudiziale dell’abusività delle clausole, conseguente all’omissione del giudice, che frustra il diritto di azione e difesa del consumatore, vulnerandone in modo insostenibile la tutela giurisdizionale effettiva».

La chiave di lettura degli ermellini, dunque, è nel senso di una perfetta compatibilità tra le due discipline: la carenza in sede di applicazione della regola di diritto unionale – «mancato rilievo officioso e omessa motivazione, imposti da norma imperativa (art. 6, par. 1, della direttiva 93/13/CEE)» – vizia il decreto ingiuntivo non opposto, impedendo così la formazione del giudicato, ai sensi e per gli effetti degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c.

L’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.

La coerente composizione, in linea teorica, delle due discipline in potenziale contrasto riscontra invece maggiori difficoltà nell’individuazione, sul piano applicativo, dei rimedi processuali più adeguati per dare impulso al motivato controllo d’ufficio, la cui carenza risulti accertata, una volta che si sia già conclusa la fase monitoria.

Il primo punto che le SS.UU. si sono occupate di chiarire, in tal senso, è quello che attiene all’equilibrio che va necessariamente garantito tra l’esigenza – posta dalla normativa europea – di dar luogo a un controllo giurisdizionale officioso, per proteggere il consumatore da eventuali abusi negoziali di natura professionale, e quella di celerità, che è l’essenza stessa del procedimento monitorio.

      I) In sede monitoria, la soluzione individuata nella sentenza in commento, in estrema sintesi, è questa: a) nella fase che si svolge, inaudita altera parte, il compito precipuo del giudice sarà quello di esaminare d’ufficio l’«eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all’oggetto della controversia»; b) a tal fine, il giudice eserciterà i poteri istruttori di cui all’art. 640 c.p.c., e potrà quindi «chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore», provvedendo invece a rigettare l’istanza di ingiunzione in tutti i casi in cui «l’accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un’istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.)»; c) all’esito di questi controlli, il giudice disporrà con rigetto (o accoglimento parziale) del ricorso, laddove dovesse rilevare la presenza di clausole abusive, ovvero «pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell’art. 641 c.p.c.», nel caso in cui il «controllo sull’abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo». Se viene emesso decreto ingiuntivo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 641 c.p.c., esso dovrà contenere l’avviso relativo al termine di 40 giorni per opporsi, con «l’espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile».

Come è evidente, il richiesto controllo in sede monitoria, sul piano applicativo, non crea particolari problemi di raccordo con la normativa processuale: in presenza di un decreto ingiuntivo che contenga, infatti, sia la motivazione che l’avvertimento in parola, «la tutela del consumatore è da reputarsi rispettosa del canone dell’effettività e la maturazione del termine di cui all’art. 641 c.p.c., senza che sia stata proposta opposizione, non consentirà più successive contestazioni sulla questione di abusività delle clausole contrattuali». L’unico aspetto sul quale vale la pena di soffermarsi ulteriormente è quello relativo al carattere della prevista motivazione. Il Collegio, sul punto, ha precisato che essa è «strumentale rispetto all’esercizio del diritto di difesa del consumatore nella fase processuale a contraddittorio pieno», per cui, per l’assolvimento di questo onere motivazionale, sarà necessario e sufficiente che – nel D. I. emesso – venga «individuata, con chiarezza, la clausola del contratto (o le clausole) che abbia(no) incidenza sull’accoglimento, integrale o parziale, della domanda del creditore e che se ne escluda, quindi, il carattere vessatorio». Tenendo presente altresì che la CGUE ha fatto riferimento, nelle proprie sentenze, «ad una sommaria motivazione», e che, conseguentemente, essa potrà dunque concretarsi anche «in un apparato argomentativo estremamente sintetico», eventualmente con una struttura che si agganci «per relationem al ricorso monitorio ove questo si presti allo scopo».

Le maggiori difficoltà sorgono, in effetti, in sede di esecuzione, tutte le volte in cui – come nel caso di specie – il titolo esecutivo è un decreto ingiuntivo non opposto che si presenta carente del dovuto controllo in fase monitoria. Sappiamo che la disciplina di diritto unionale – «al fine di dare il necessario seguito ai dicta della CGUE» – richiede ora, con «portata retroattiva», che il dovuto omesso controllo del giudice della fase monitoria venga necessariamente svolto in questa fase successiva. Sul ‘come’, gli interpreti hanno proposto varie soluzioni che la Corte ha vagliato attentamente, fermo restando che «nessuna di esse si presenta piana e che ciascuna sconta un margine differenziale rispetto all’assetto del nostro ordinamento processuale». I due poli alternativi lungo cui far dipanare la scelta ermeneutica più corretta, riprendendo sinteticamente quanto elaborato in dottrina e giurisprudenza di merito, sono così ravvisabili: da un lato, abbiamo una gamma di soluzioni che «fanno appello essenzialmente a rimedi tipici della cognizione piena, lasciando al giudice dell’esecuzione soltanto il potere di rilevazione dei profili di abusività delle clausole contrattuali al fine esclusivo di sanare il difetto di controllo determinatosi nella fase monitoria»; dall’altro, abbiamo invece una serie di rimedi che, al contrario, «prediligono un ruolo attivo del giudice dell’esecuzione anche nell’accertamento della vessatorietà, sebbene con efficacia circoscritta al processo esecutivo in corso».

Le SS.UU. individuano nell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. il rimedio che – meglio di tutte le altre soluzioni possibili – consente di far combaciare «l’esigenza preminente della tutela effettiva del consumatore con l’esigenza, pur garantita dall’ordinamento sovranazionale, di rendere operante nella maggiore espansione possibile il principio di autonomia procedurale». La Corte, avvalendosi dello strumento ermeneutico dell’interpretazione conforme, applica così il primo comma dell’art. 650 c.p.c., considerando «l’assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in punto di valutazione della vessatorietà delle clausole» e, a fortiori, «il mancato avvertimento circa la possibilità di far valere detta abusività solo entro un certo termine» come situazioni che possono essere entrambe ricondotte «alla previsione normativa del “caso fortuito o forza maggiore”, la quale dà facoltà al debitore consumatore, sebbene destinatario della notificazione del decreto ingiuntivo, di fare opposizione tardiva pur avendo avuto conoscenza del decreto ingiuntivo della cui rituale notificazione è stato destinatario (e ciò secondo l’addizione alla disposizione originaria resa dalla sentenza n. 120 del 1976 della Corte costituzionale)». Con lo strumento ermeneutico della disapplicazione viene invece risolta la questione della effettività della tutela, da garantire in tutte le ipotesi in cui è mancato quel doveroso controllo officioso, che – come visto – penalizza eccessivamente il consumatore. In tal senso, «è, pertanto, necessario procedere alla disapplicazione dell’ultimo comma dell’art. 650 c.p.c. e rinvenire il termine di 40 giorni dall’art. 641 c.p.c., ossia un termine che è pur sempre tratto dall’interno della disciplina dettata per l’opposizione a decreto ingiuntivo e della cui rispondenza al criterio di effettività non è dato dubitare».

In assenza di un intervento normativo in grado di risolvere a monte, tutti i problemi posti dalle sentenze della CGUE, più volte richiamate, questa soluzione – palesemente creativa, come pure è stato rilevato in dottrina – ad avviso del Collegio ha innanzi tutto il pregio di garantire una tutela piena ed effettiva al consumatore, sotto diversi e plurimi profili che qui, in via esemplificativa ma non esaustiva, andremo di seguito a richiamare, ancorché in maniera alquanto sintetica.

In prima battuta, gli ermellini osservano come l’opposizione ex art. 650 c.p.c. rappresenti, in particolar modo, un rimedio assai efficace proprio «perché è esperibile non solo dopo, ma anche anteriormente all’inizio dell’esecuzione e, segnatamente, pure in momento antecedente alla stessa notificazione del precetto, così da evitare al consumatore di trovarsi nell’eventualità – non remota – di subire l’esecuzione e, quindi, il vincolo del pignoramento sui propri beni, ancor prima di poter dare ingresso ad un controllo sulla vessatorietà delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto».

Altro indubbio vantaggio è rappresentato senz’altro dal «potere del giudice dell’opposizione tardiva di sospendere l’esecutorietà del titolo giudiziale (art. 649 e 650, comma 2, c.p.c.), che concreta l’ipotesi di sospensione di cui all’art. 623 c.p.c. (tra le altre, Cass., 16 gennaio 2006, n. 709 e Cass., 22 dicembre 2022, n. 37558; sospensione che ha effetti favorevoli anche rispetto alla comunque pregiudizievole iscrizione di ipoteca ex art. 655 c.p.c.), così da evitare al debitore consumatore di dover ottenere la sospensione di ciascuna procedura esecutiva nella quale il creditore professionista (in forza di una facoltà che può ben esercitare: tra le altre, Cass., 18 settembre 2008, n. 23847) lo coinvolga sulla base del medesimo titolo esecutivo costituito dal decreto ingiuntivo non opposto». Questa soluzione, nello specifico, sostanzialmente permette al consumatore esecutato di azzerare «il rischio che il bene sia venduto o il credito assegnato da uno (o più) dei GG.EE. aditi che rigettino l’istanza di sospensione della procedura», evenienza che lascerebbe al consumatore la sola residua «possibilità di attivare rimedi non altrettanto effettivi, come quello risarcitorio».

La scelta, poi, di permettere l’esercizio dell’opposizione tardiva, ex art. 650 c.p.c. nello spatium deliberandi di 40 giorni, secondo l’operazione ermeneutica richiamata poc’anzi, nel fissare un termine certo e ragionevole per la definizione della controversia sull’eventuale abusività delle clausole, si rende decisamente preferibile, rispetto all’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., «alla quale, in mancanza di un termine per la sua proposizione, si potrebbe fare ricorso durante tutto lo svolgimento della fase di liquidazione giudiziale e fino alla apertura della fase distributiva» (ragionamento questo che vale – e a maggior ragione – anche per il rimedio dell’actio nullitatis).

Da ultimo, non si può non evidenziare il fatto che, tra le tante possibili soluzioni, «l’opposizione tardiva si lascia preferire perché è rimedio che l’ordinamento stesso appresta contro il giudicato (cfr. Cass., S.U., 16 novembre 1998, n. 11549; Cass., 6 ottobre 2005, n. 19429; Cass., 24 marzo 2021, n. 8299) e, quindi, consente, anzitutto, di mantenere ferma la configurazione del decreto ingiuntivo non opposto quale provvedimento idoneo a passare in giudicato formale e a produrre effetti di giudicato sostanziale». In tal senso, da un lato, «tale soluzione permette, anche nel limitato campo del decreto ingiuntivo non opposto in materia consumeristica, di fare salvo il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile»; dall’altro, «l’opposizione ex art. 650 c.p.c. si presenta come risposta coerente rispetto ai dicta della CGUE, giacché è idonea a rimettere in discussione il risultato di condanna conseguito dal creditore con il decreto ingiuntivo non opposto proprio in ragione del carattere abusivo della clausola del contratto fonte del diritto azionato in via monitoria, così da poter determinare la caducazione di quel decreto ovvero la riduzione del suo importo quale conseguenza della dichiarazione della natura abusiva di una o più clausole, con sentenza – come detto – suscettibile di passare in giudicato formale e con attitudine al giudicato sostanziale». Con questa soluzione, tra l’altro, resta in ogni caso ferma «la regola (tra le tante, Cass., 18 febbraio 2015, n. 3277 e Cass., 14 febbraio 2020, n. 3716) secondo cui in sede di opposizione all’esecuzione, ove alla base dell’opposizione sia posto un titolo esecutivo giudiziale, non possono farsi valere fatti impeditivi anteriori alla formazione del titolo, così da non mettere in discussione la natura di titolo esecutivo giudiziale del decreto ingiuntivo non opposto».

      II) In sede esecutiva, per tutti questi motivi, sintetizzando i principi di diritto che le SS.UU. hanno enunciato, ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c., il giudice dovrà seguire questo schema di riepilogo: a) laddove nel decreto ingiuntivo non opposto dovesse emergere un vizio di motivazione «in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole», il GE – «sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito» – dovrà provvedere direttamente al controllo del contratto su cui si fonda il titolo esecutivo, accertando la sussistenza o meno di «di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo»; b) nell’eventualità che, sulla scorta della complessiva documentazione già in atti, il richiesto controllo non risulti possibile («si presenterà, sovente, la necessità di acquisire anzitutto il contratto fonte del credito ingiunto»), compito del GE sarà quello di «provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine»; c) che sia positivo o negativo, l’esito del previsto controllo sul carattere abusivo delle clausole, il GE dovrà quindi comunicare le emerse risultanze alle parti, con specifico avviso, per il debitore esecutato, che – nel termine di 40 giorni dalla predetta comunicazione – potrà «proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo»; d) l’esecuzione verrà quindi sospesa, «fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 649 c.p.c.», e pertanto il GE, nelle more, non potrà procedere «alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito»; e) in tutti i casi in cui, «dopo la pubblicazione delle sentenze della CGUE del 17 maggio 2022», il debitore, ex art. 615, comma 1, c.p.c., abbia già proposto – «prima dell’inizio dell’esecuzione, a seguito della notificazione del precetto» – un’opposizione all’esecuzione, chiedendo di far rilevare l’abusività di clausole contrattuali nulle, in virtù della disciplina consumeristica di matrice eurounitaria, «il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii)»; f) in presenza invece di un’opposizione esecutiva già in corso, «per far valere l’abusività di una clausola» (o rilevarne d’ufficio eventuali altre), secondo la normativa unionale di protezione del consumatore, il GE dovrà dare al debitore «termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva» e, in tal caso, «non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva».

      III) In sede di cognizione, infine, il magistrato che dovrà pronunciarsi sull’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.: a) lo potrà fare «solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali», con potere – ex art. 649 c.p.c. – di sospensione della «esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l’accertamento sull’abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale»; b) avrà facoltà, poi, di procedere conseguentemente, «secondo le forme di rito».

Le massime

Ai fini del rispetto del principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti riconosciuti al consumatore dalla direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive dei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore, e dalle sentenze della CGUE del 17 maggio 2022:

  1. il giudice del procedimento monitorio, nella fase “inaudita altera parte”, deve esaminare d’ufficio l’eventuale carattere abusivo delle clausole rilevanti rispetto all’oggetto della domanda – esercitando, a tal fine, i poteri istruttori di cui all’art. 640 c.p.c. (richiedendo la produzione di documenti o i chiarimenti necessari, anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore) – e motivare sinteticamente l’esito negativo di tale controllo nel decreto ingiuntivo, nonché, con lo stesso provvedimento, avvertire il debitore che, in assenza di opposizione, decadrà dalla possibilità di far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e che il decreto non opposto diventerà irrevocabile; lo stesso giudice deve, invece, rigettare, in tutto o in parte, il ricorso, salva la riproponibilità della domanda, se il predetto controllo abbia esito positivo oppure se l’accertamento della vessatorietà imponga un’istruzione probatoria (quale quella tramite l’assunzione di testimonianze o l’espletamento di c.t.u.) incompatibile col procedimento monitorio (Cassazione, massimario – rv. 667446-01).
  1. nel caso in cui il decreto ingiuntivo non opposto, su cui sia fondata l’esecuzione o l’intervento del creditore, non sia motivato in ordine al carattere non abusivo delle clausole del contratto fonte del credito oggetto d’ingiunzione, il giudice dell’esecuzione ha il dovere di controllare d’ufficio l’eventuale carattere abusivo delle clausole che incidono sulla sussistenza o sull’entità del credito azionato, nel contraddittorio e previa instaurazione di una sommaria istruttoria, a prescindere dalla proposizione di un’opposizione esecutiva (potendo, ove non adito prima dalle parti, dare atto, nel provvedimento di fissazione dell’udienza, della mancanza di motivazione del decreto ingiuntivo e invitare il creditore, procedente o intervenuto, a produrre il contratto); il giudice dell’esecuzione è altresì tenuto a informare le parti dell’esito del controllo svolto – avvertendo il consumatore che entro quaranta giorni da tale informazione ha facoltà di proporre opposizione al decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c., esclusivamente per far accertare il carattere abusivo delle clausole incidenti sul credito oggetto di ingiunzione – e a soprassedere alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito fino alla vana scadenza del predetto termine o alle determinazioni del giudice dell’opposizione sull’istanza ex art. 649 c.p.c. (Cassazione, massimario – rv. 667446-02).
  1. quando il titolo azionato è un decreto ingiuntivo non opposto e non motivato sul carattere non abusivo delle clausole del contratto che è fonte del credito ingiunto, ferma la rivelabilità d’ufficio della nullità di protezione, l’opposizione all’esecuzione ex art. 615, comma 1, c.p.c. proposta dal debitore per far valere l’abusività delle clausole va riqualificata come opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimessa alla decisione del giudice di questa, operando la “translatio iudicii”; nella medesima ipotesi, se il debitore ha proposto l’opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c. per far valere l’abusività di una clausola, il giudice dell’esecuzione deve dare termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. (se del caso anche rilevando l’abusività di altre clausole), senza procedere alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva sull’istanza ex art. 649 c.p.c. (Cassazione, massimario – rv. 667446-03).
  1. l’opposizione tardiva (ex art. 650 c.p.c.) al decreto ingiuntivo non motivato in ordine al carattere non abusivo delle clausole del contratto fonte del diritto azionato in via monitoria può riguardare esclusivamente il profilo di abusività di dette clausole; conseguentemente, il giudice dell’opposizione ha il potere (ex art. 649 c.p.c.) di sospendere, in tutto o in parte, l’esecutorietà del provvedimento monitorio a seconda degli effetti che l’accertamento sull’abusività delle clausole negoziali potrebbe comportare sul titolo giudiziale (Cassazione, massimario – rv. 667446-05).

 

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