Fideiussione e schema ABI: il contratto è salvo, le clausole no

I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 3, comma 2, lett. a) della legge 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.

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È questo il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte nella massima composizione, con la sentenza n. 41994 del 30.12.2021, attraverso cui gli Ermellini hanno definito il contrasto dottrinale e giurisprudenziale sui rimedi esperibili nei confronti dei contratti di fideiussione stipulati a valle sulla base di intese a monte ritenute nulle all’Autorità Garante.

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1. LA VICENDA

Al fine di comprendere meglio la portata del suindicato principio di diritto espresso dal Tribunale Supremo è necessario ripercorrere brevemente la vicenda.

Una società stipulava con un istituto bancario un contratto di conto corrente e, successivamente, un contratto di finanziamento sotto forma di mutuo, per un valore complessivo di €. 75.000,00; a garanzia di tali rapporti, la Banca richiedeva il rilascio di due distine fideiussioni, fino a concorrenza della somma di €. 166.000,00, sottoscritte da uno dei soci.

Con successive raccomandate, l’istituto di credito comunicava al debitore principale – la società – la risoluzione dei contratti, chiedendo la restituzione del relativo scoperto; altresì, la banca otteneva la condanna del socio, a seguito di procedimento monitorio, al pagamento delle somme di €. 56.795,37 ed € 50.385,34.

L’intimato presentava rituale opposizione; tuttavia, il procedimento veniva sospeso, ad istanza dell’opponente, avendo il medesimo instaurato, nelle more del giudizio di opposizione, altro procedimento dinanzi alla Corte d’Appello di Roma (art. 33, L.287/90 ratione temporis applicabile).

In particolare, il socio, con atto di citazione dinanzi alla summenziota Corte, chiedeva:

  • che i contratti di fideiussione fossero dichiarati nulli per violazione dell’art. 2, co.2, lett. a), L. 287/90 (disciplina antitrust) e, per conseguenza, che la Banca fosse condannata al risarcimento del danno;
  • in subordine, che fossero dichiarate nulle – per violazione dell’art. 2, co.2, lett. a), L. 287/90 – le sole clausole contenute negli artt. 2, 6 e 8 dei predetti contratti di fideiussione, e che nulla era dovuto dal socio alla banca, per i debiti della società, a causa dell’intervenuta decadenza dell’istituto di credito, ai sensi dell’art. 1957 c.c.

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Con sentenza n. 3746/2016, la Corte d’Appello di Roma dichiarava la nullità delle sole clausole contrattuali nn. 2, 6 e 8 e condannava la Banca al risarcimento del danno.

La vicenda sottoposta alla Suprema Corte, dunque, riguarda la tutela applicabile al soggetto che abbia sottoscritto un contratto di fideiussione a valle, nell’ipotesi di nullità delle condizioni stabuilite nelle intese a monte tra imprese.

Sul punto, dottrina e giurisprudenza hanno, ciascuno, prospettato differenti soluzioni che si sostanziano in tre possibilità, su cui gli Ermelini sono stati chiamari a porre la parole fine:

  • nullità del contratto di fideiussione;
  • nullità delle sole clausole che riproducono le condizioni dell’intesa ritenute nulle a monte;
  • tutela risarcitoria.

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2. DISCIPLINA APPLICABILE

L’art. 2, co.2, lett. a) e co. 3, L. 287/90 stabilisce che: “sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o i una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero le altre condizioni contrattuali; […] Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”.

Altresì, l’art. 101 T.U.F., prevede l’incompatibilità con il mercato interno nonché il divieto di accordi tra imprese che possano pregiudicare il commercio tra Starti membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, falsare o restringere in gioco della concorrenza, andando a sancire la nullità degli accordi stessi.

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3. LO SCHEMA ABI

Nel 2002 l’ABI, al fine di perseguire gli scopi per cui è sorta, aveva predisposto uno schema negoziale per il contratto di fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie che prevedeva, tra l’altro: la clausola di reviviscenza, secondo cui il fideiussore era tenuto a rimborsare alla banca le somme dalla stessa incassate e che dovevano restituirsi in caso di annullamento o inefficacia dei pagamenti; la clausola di sopravvivenza, secondo cui, in caso di invalidità delle obbligazioni garantite, la fideiussione restava valida ed efficace; la clausola di deroga all’art. 1957 c.c., in forza della quale i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restavano integri fino a totale estinzione, senza che la stessa fosse tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore entro i termini indicati dal summenzionato articolo, che si intendeva derogato.

Ebbene, nel 2005, la Banca d’Italia, con provvedimento n. 55/2005 dichiarava le suesposte clausole violative della disciplina antitrust, affermando, in particolare, che le clausole di sopravvivenza e quella di deroga all’art. 1957 c.c., addossassero al fideiussore conseguenze negative particolarmente rilevanti.

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4. I DIVERSI ORIENTAMENTI

a) La nullità del contratto a valle

Nell’ambito del contrasto giurisprudenziale cui è seguita la pronuncia delle Sezioni Unite in commento, secondo un primo orientamento, le fideiussioni contenenti le clausole di cui agli artt. 2, 6 e 8 dello schema predisposto dall’ABI, devono ritenersi totalmente nulle ai sensi e per gli effetti dell’art. 1418 c.c., per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2, L. 287/90, la cui portata no è limitata al negozio giuridico posto all’origine della successiva sequenza comportamentale, bensì, si estende anche alla successiva e più complessa situazione sviluppatasi a seguito dell’originario negozio, la quale concretizza la violazione della suddetta norma imperativa.

b) La nullità parziale della fideiussione

Per contro, si è sostenuto che la nullità per violazione della disciplina anticoncorrenziale no travolge l’intera fideiussione, ma solo ed esclusivamente le singole clausole ritenute abusive dalla Banca d’Italia. Di conseguenza, laddove tale clausole fossero inserite nel contratto di fideiussione, le stesse sarebbero affette da nullità ai sensi dell’art. 1419 c.c., senza che ciò pregiudichi la funzione economico-sociale perseguita dalle parti, che resterebbe perfettamente lecita.

c) La tutela risarcitoria

Secondo un terzo orientamento, infine, dalla declaratoria di nullità di un’intesa tra imprese che sia violativa della disciplina a tutela della concorrenza, non discenderebbe automaticamente la nullità dei contratti posti in essere in adesione all’intesa, i quali resterebbero validi e consentirebbero, al più, di esperire un’azione di risarcimento del danno da parte dei clienti, avverso le imprese, laddove sia stata precisata la conseguenza che l’illecito antitrust abbia causato, non essendo sufficiente la mera allegazione della sussistenza dello stesso.

d) La posizione della Suprema Corte

Al fine di dirimere la questione, le Sezioni Unite hanno chiarito che le finalità perseguite dalla disciplina antitrust sia garantita dalla tutela risarcitori, unitamente al quella reale. Di conseguenza, la nullità dell’intesa a monte non dete4rmina la nullità totale della fideiussione ma solo delle singole clausole, ferma restando la possibilità di esperire un’azione risarcitoria. In sintesi, secondo gli Ermellini, la nullità parziale di cui all’art. 1419 c.c. consentirebbe di mantenere in vita la fideiussione, espunte le clausole contrattuali illecite, garantendo uno dei princìpi più importanti del nostro ordinamento: la conservazione del contratto.