Contratto di conto corrente: la prescrizione delle rimesse solutorie e l’adeguamento delle clausole anatocistiche

Con l’ordinanza n. 5064 del 26 febbraio 2024, la Suprema Corte di Cassazione, I Sezione Civile, ha affermato importanti principi in materia di prescrizione delle rimesse solutorie, con particolare focus al dies a quo, nonché in tema di adeguamento delle clausole anatocistiche previste nei contratti di conto corrente in corso alla data di entrata in vigore della delibera CICR del 9 febbraio del 2000.

Il caso

La controversia è nata dall’iniziativa giudiziaria di una società in danno dell’istituto di credito presso cui aveva acceso un rapporto di conto corrente nel 1981.

In particolare, la società contestava addebiti illegittimi chiedendo la rideterminazione del saldo di conto corrente con le conseguenti restituzioni, previo accertamento della illecita capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi.

La banca, per contro, eccepiva la prescrizione in relazione agli addebiti aventi natura di rimesse solutorie effettuati sul conto in data anteriore al decennio dalla notifica dell’atto di citazione.

Il Giudice di prime cure rigettava l’eccezione della banca ritenendo che la stessa non avesse indicato le rimesse solutorie. La decisione veniva riformata in appello sul presupposto che incombesse sulla correntista produrre in giudizio tutti gli estratti conto per consentire l’integrale ricostruzione dei rapporti di dare-avere fra le parti, non essendo sufficienti gli estratti conto scalari e l’incompleta documentazione prodotta, entrambi fattori che conducevano la corte territoriale a disattendere la ricostruzione del c.t.u. nominato, il quale ‘favoriva’ la posizione del correntista.

La società ricorreva per Cassazione affidandosi a ben 5 motivi di ricorso.

Con il primo motivo di ricorso, la società deduceva la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697, c.c., per avere la Corte erroneamente statuito in punto di ripartizione degli oneri probatori con riferimento all’eccezione di prescrizione. Secondo la ricostruzione di parte ricorrente, invero, in forza del consolidato principio per cui l’onere probatorio di un fatto estintivo incombe su colui il quale lo abbia eccepito, non era onere del correntista dare prova delle esistenza delle rimesse.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduceva la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697, c.c. e 115, c.p.c. per avere la corte territoriale ritenuto inidonea la documentazione prodotta.

Il terzo motivo di ricorso denunciava la violazione e la falsa applicazione degli artt. 132, c.p.c. e 118, disp. att., c.p.c., per avere il giudice di secondo grado omesso di valutare la c.t.u. e, comunque, per avere omesso di motivare in ordine alle ragioni di non recepimento delle risultanze della medesima.

Il quarto motivo di ricorso restava assorbito.

Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso, il ricorrente deduceva la violazione e la falsa applicazione degli artt. 120 t.u.b., 7 Delibera CICR 9/02/2000 e 1283, c.c., per avere la sentenza dichiarato erroneamente la natura migliorativa della capitalizzazione degli interessi introdotti dalla suddetta delibera rispetto alla clausola anatocistica precedentemente applicata.

L’Ordinanza n. 5064 del 26 febbraio 2024

Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte di Cassazione accoglieva il primo motivo di ricorso, nonché il secondo ed il terzo, unitariamente esaminati, dichiarava assorbito il quarto ed infondato il quinto.

In particolare, per ciò che concerne il primo motivo di ricorso, la Corte ha precisato che l’onere di allegazione gravante sulla banca che abbia sollevato l’eccezione di prescrizione è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte. Nondimeno, detto principio opera soltanto sul versante dell’onere di allegazione e postula una specifica simmetria: come il correntista può limitarsi ad indicare l’esistenza di versamenti indebiti e chiederne la restituzione previa verifica del saldo del conto, allo stesso modo la banca può limitarsi ad allegare l’inerzia del correntista per il tempo necessario alla prescrizione.

Il problema dell’indicazione delle rimesse solutorie, tuttavia, si sposta sul piano della prova e presuppone che il giudice valuti le tesi contrapposte secondo le ordinarie regole di riparto ed eventualmente facendo luogo alla c.t.u.

Ciò detto, gli Ermellini hanno censurato la sentenza oggetto di ricorso nella parte in cui ha dichiarato le rimesse solutorie sulla scorta della mera mancanza di affidamenti sul conto e della lacunosa documentazione prodotta dalla ricorrente.

Il Supremo Consesso ha ritenuto detta considerazione logicamente incongruente poiché ove sia stata proposta dal correntista una domanda di ripetizione di indebito conseguente alla declaratoria di nullità di clausole contrattuali e/o all’esistenza protratta nel tempo di prassi bancarie contrarie a norme imperative e inderogabili, la ricerca dei versamenti di natura solutoria deve essere preceduta dall’individuazione e dalla successiva cancellazione dal saldo di tutte le voci o competenze accertate come illegittime e in concreto applicate dalla banca.

In breve, ha concluso sul punto la Corte di legittimità, il dies a quo della prescrizione non può iniziare a decorrere se non per quella parte delle rimesse sul conto la cui funzione solutoria – finanche dinanzi a un conto non affidato – sia individuabile dopo la rettifica del saldo.

La Corte dichiarava altresì fondati il secondo ed il terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente, dichiarando il quarto motivo assorbito.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha censurato la decisione della corte d’appello nella parte in cui ha ritenuto che il mancato deposito degli estratti conto integrali impedisse la ricostruzione dei rapporti dare-avere fra le parti.

Per vero, secondo il ragionamento della Corte, nel rapporto di conto corrente, una volta esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista, ed eventualmente riscontrata la mancanza di una parte degli estratti conto, occorre distinguere il caso in cui il correntista sia convenuto da quello in cui egli sia invece attore in giudizio.

Nel caso della domanda proposta dal correntista, l’accertamento del dare e dell’avere può attuarsi con l’utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete tese a dar ragione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto, perché l’estratto è un documento formato (e proveniente) dalla banca. Ne consegue che, innanzi a documenti esibiti dal correntista e provenienti dalla banca, è ben possibile ricostruire l’effettività del saldo finale partendo da questi, e anche movendosi mediante elaborazioni tecniche dei dati emergenti dagli scalari.

Pertanto, ove sia il correntista ad agire in giudizio per la rideterminazione del saldo e la correlata ripetizione delle somme indebitamente considerate, e il primo degli estratti prodotti rechi un saldo iniziale a suo debito, è legittimo ricostruire il rapporto con le prove che offrano indicazioni o diano giustificazione di un saldo diverso nel periodo di riferimento per effetto della eliminazione delle voci o delle competenze illegittimamente applicate a quel momento.

Concludendo sul punto, la Corte ha affermato che la base del calcolo possa attestarsi proprio sul saldo iniziale del primo degli estratti conto acquisiti al giudizio, dal momento che questo costituisce un documento redatto dalla banca in funzione riassuntiva delle movimentazioni del conto corrente, e rimane, nel quadro delle risultanze di causa, il dato più sfavorevole allo stesso attore.

Per ciò che concerne, invece, il quinto ed ultimo motivo di ricorso, il Supremo consesso ha dichiarato lo stesso infondato.

Nello specifico, la Corte ha ritenuto di non condividere la tesi di parte ricorrente incentrata sul rilievo che le nuove condizioni applicate dalla banca si sarebbero dovute considerare peggiorative se riferite alla mancanza totale di capitalizzazione, come esito della nullità della clausola originaria.

Per vero, secondo gli Ermellini, la condizione prevista dalla delibera Cicr quale limite della possibilità della banca di operare un valido adeguamento delle condizioni contrattuali alle disposizioni della delibera attuativa del t.u.b. è incentrata sul fatto che le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate.

Ciò, implica una valutazione relazionale tra le nuove e le vecchie condizioni del contratto, ma non anche invece – come ritenuto dai ricorrenti – tra le nuove condizioni e quelle anteriori epurate da ogni forma di capitalizzazione.

A contrario, secondo la Corte, la stessa previsione di una possibilità di adeguamento sarebbe priva di senso logico, visto che, rispetto a un effetto di nullità del tipo di quello sopra considerato (incentrato sul correttivo del calcolo degli interessi a debito senza alcuna capitalizzazione) mai si potrebbe discorrere di prassi anatocistica non peggiorativa.

Le massime

  1. Ove sia stata proposta dal correntista una domanda di ripetizione di indebito conseguente alla declaratoria di nullità di clausole contrattuali e/o all’esistenza protratta nel tempo di prassi bancarie contrarie a norme imperative e inderogabili, la ricerca dei versamenti di natura solutoria deve essere preceduta dall’individuazione e dalla successiva cancellazione dal saldo di tutte le voci o competenze accertate come illegittime e in concreto applicate dalla banca”.
  1. Ove sia il correntista ad agire in giudizio per la rideterminazione del saldo e la correlata ripetizione delle somme indebitamente considerate, e il primo degli estratti prodotti rechi un saldo iniziale a suo debito, è legittimo ricostruire il rapporto con le prove che offrano indicazioni o diano giustificazione di un saldo diverso nel periodo di riferimento per effetto della eliminazione delle voci o delle competenze illegittimamente applicate a quel momento. La base del calcolo può attestarsi proprio sul saldo iniziale del primo degli estratti conto acquisiti al giudizio, visto che questo costituisce un documento redatto dalla banca in funzione riassuntiva delle movimentazioni del conto corrente, e rimane, nel quadro delle risultanze di causa, il dato più sfavorevole al correntista”.
  1. La condizione prevista dalla delibera Cicr quale limite della possibilità della banca di operare un valido adeguamento delle condizioni contrattuali alle disposizioni della delibera attuativa del T.u.b. è incentrata sul fatto che “le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate”. Ciò implica una valutazione relazionale tra le nuove e le vecchie condizioni del contratto, ma non anche tra le nuove condizioni e quelle anteriori epurate da ogni forma di capitalizzazione. A contrario, la stessa previsione di una possibilità di adeguamento sarebbe priva di senso logico, visto che, rispetto a un effetto di nullità del tipo di quello sopra considerato (incentrato sul correttivo del calcolo degli interessi a debito senza alcuna capitalizzazione) mai si potrebbe discorrere di prassi anatocistica non peggiorativa”.

 

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