Con l’ordinanza n. 6549 del 6 marzo 2023, la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che è fonte di responsabilità solidale il danno economico conseguente al deterioramento del pegno (azionario, nel caso di specie), che poteva essere evitato se solo il custode e/o il creditore pignoratizio avessero provveduto a informare tempestivamente il debitore, del relativo rischio – immediato, concreto e da loro conosciuto – attivandosi, contestualmente, per una efficiente liquidazione del bene dato in garanzia. In altri termini, laddove il pegno di azioni dovesse venire a subire un deterioramento del suo valore economico, a causa della mancata trasmissione al debitore di tutte quelle rilevanti informazioni economiche – in possesso del custode e/o del creditore pignoratizio – che avrebbero dovuto attivare la procedura di vendita anticipata (art. 2795 c.c.) e, quindi, evitare o quantomeno limitare i danni, di essi dovranno rispondere, in solido, i predetti soggetti.
Indice
Il caso
La vicenda risale agli anni in cui la valuta corrente era ancora la lira e, segnatamente, all’anno 2000, quando Tizio – per ottenere una linea di finanziamento di 600 milioni di lire – costituiva in pegno «presso l’allora Banca Gamma Spa (ora Alfa Spa) n. 500.000 azioni Omega Spa». Cinque anni dopo, verso la fine di ottobre del 2005, col dichiarato fallimento della Omega Spa, le predette azioni subivano una perdita secca di valore, per oltre 500mila euro (€. 507.310,10, per l’esattezza). Pertanto, Tizio chiamava in giudizio, sia «il creditore pignoratizio Banca Alfa Spa» che «il terzo designato custode dei titoli in oggetto Banca Alfa Private Banking Spa», affinché rispondessero, in solido, del danno causato dal fatto che «entrambi gli istituti di credito, benché pienamente a conoscenza dello stato di insolvenza di Omega Spa», nulla avessero fatto per tutelare il bene dato in garanzia dal debitore. In particolare, la difesa di Tizio contestava alle parti convenute la violazione: a) dello «specifico obbligo di conservazione dei beni conferiti in pegno, ex art. 2790 c.c.» (obbligo per il quale essi avrebbero dovuto «trasferire i titoli azionari in oggetto prima della completa perdita di valore» o perlomeno «fornire informazioni al titolare delle azioni sull’imminente rischio di insolvenza della Omega Spa, in modo tale da consentirne tempestivamente la vendita»); b) del dovere di esecuzione del contratto (di pegno) secondo buona fede, ex art. 1375 c.c.
Nel merito, in entrambi i gradi di giudizio, le domande risarcitorie venivano respinte. La Corte d’Appello, in particolare, motivava il mancato accoglimento delle istanze attoree, sulla base delle seguenti ragioni di diritto: a) Banca Alfa Private Banking, in quanto «terzo custode degli strumenti finanziari gravati dal pegno», per legge, non poteva «compiere, di sua iniziativa, qualsivoglia operazione in ordine ai predetti titoli azionari»; b) il creditore pignoratizio Banca Alfa s.p.a, invece, non era da ritenere responsabile poiché «nell’ipotesi di pegno regolare di titoli» il creditore non è tenuto «al trasferimento/vendita degli stessi, salvo nel caso di pericolo di perdita materiale del bene oggetto di pegno»; c) gli istituti di credito, ai sensi dell’art. 2790 c.c., non avevano alcun «obbligo informativo, in ordine alla grave situazione di dissesto finanziario della società emittente i titoli pignorati» e anzi, ad avviso del collegio giudicante, il preteso obbligo si configurava piuttosto come «un’attività di consulenza finanziaria non contemplata dai rapporti vigenti tra le parti, né imposta dalla legge».
Tizio deposita, quindi, ricorso in Cassazione, articolandolo in due motivi.
Resistono, con controricorso, i due istituti di credito citati per danni.
L’Ordinanza n. 6549 del 6 marzo 2023
Con l’ordinanza in commento, la S. C. accoglie il primo dei due motivi di ricorso – «violazione e falsa applicazione degli artt. 2790, 1175, 1176, 1366 e 1375 c.c..», mentre il secondo («omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5») resta chiaramente assorbito, a questo punto – con il quale, la difesa di Tizio evidenziava, in particolar modo, il fatto che il gruppo bancario delle parti convenute, «riducendo in pochi giorni nell’agosto 2005 la propria partecipazione nella Omega Spa dal 24,683% del capitale sociale allo 0,480%», attestava la piena conoscenza del rischio concreto e attuale che sussisteva, nell’imminenza del poi dichiarato fallimento della società Omega. Pertanto, per parte ricorrente, è del tutto evidente che le banche, agendo in tal modo, «hanno salvaguardato solo i propri interessi», senza minimamente preoccuparsi di «tutelare contestualmente gli interessi dei propri clienti detentori delle stesse azioni»; ciò che – nel caso di specie – si configura inequivocabilmente come «un comportamento inadempiente degli obblighi di buona fede e correttezza».
In estrema sintesi, gli Ermellini cassano l’operato dei giudici del gravame, in quanto errato in diritto, per avere «escluso, anche in astratto, la responsabilità del creditore», sulla scorta di un inesistente principio di diritto, secondo cui «gli obblighi informativi invocati dal ricorrente non trovano il proprio fondamento né nel disposto dell’art. 2790 c.c., né nelle successive norme civilistiche disciplinanti il pegno». Al contrario, i richiamati obblighi informativi sussistono e gravano anche sull’eventuale terzo, «custode degli strumenti finanziari oggetto di pegno».
Nello specifico, la Corte evidenzia come – «in una fattispecie assai simile a quella di cui è causa» – Cass. n. 12863/2019 aveva già sancito che il dovere di «custodire la cosa ricevuta in pegno» (2790 c.c.), che grava ex lege sul creditore pignoratizio, si sostanzia in un «obbligo di “attivazione giuridica”, che impone allo stesso creditore garantito, a fronte di un rischio oggettivo e sensibile di deterioramento del bene in garanzia, di procedere alla liquidazione del medesimo». La sentenza del 2019 ricorda infatti come il canone della buona fede oggettiva nella esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c. – come da consolidato orientamento giurisprudenziale in materia – impone un «dovere di necessaria salvaguardia dell’interesse altrui, nel limite in cui non venga a pregiudicare il proprio interesse oggettivo» (cfr. Cass. 13202/2010 e Cass. 22819/2011, ex multis). In tal senso, sempre la medesima sentenza citata, chiarisce che, con specifico riferimento alla custodia del pegno, Cass. 1309/1986 ha precisato che «il creditore garantito da pegno su quote di Srl ha il dovere, nei confronti del datore, di “vigilare sul buon andamento dell’amministrazione della società, al fine di proteggere l’integrità del patrimonio” di questa». Pertanto, questo «obbligo di protezione della posizione del titolare del bene pignorato (sia esso il debitore o il terzo datore di pegno)», ex art. 2790 c.c., impone che la custodia del pegno sia «funzionale al sostanziale mantenimento di un valore economico corrispondente a quello originario» e, conseguentemente, comporta «l’assunzione, da parte del creditore garantito, di un ruolo attivo, e propositivo», che si concreta in una fattiva «cooperazione con il titolare del bene pignorato ai fini di una tempestiva ed efficiente liquidazione del bene che mostri un sensibile rischio di deterioramento».
Se la sentenza del 2019 definiva molto chiaramente gli obblighi di custodia, per il caso in cui il pegno veniva costituito su cosa consegnata al creditore, come prevede il primo comma dell’art. 2786 c.c., diverso è il caso di cui al secondo comma, della medesima disposizione, poiché laddove «i beni pignorati siano consegnati ad un terzo custode designato dalle parti, gli obblighi di conservazione della cosa data in pegno e, più in generale, di protezione della posizione giuridica del debitore, nei termini sopra illustrati, si trasferiscono in capo al terzo custode» (cfr. Cass. 2284/1964, tra le più risalenti). Il «trasferimento in capo al terzo custode degli obblighi di conservazione del bene pignorato e di protezione del debitore», del resto, è perfettamente logico, essendo tali doveri «connaturati al possesso del bene dato in pegno». Pertanto, nel caso di specie, si prefigura una ipotesi di responsabilità solidale tra creditore pignoratizio e terzo, in quanto, «la prerogativa di procedere all’eventuale liquidazione» del bene offerto in garanzia, ex art. 2795 c.c., per tabusas, spetta solo al primo e non al mero custode: «a fronte di un rischio oggettivo e sensibile di deterioramento», è solo il creditore pignoratizio, infatti, che, «previo avviso a colui che ha costituito il pegno, può chiedere al giudice l’autorizzazione a vendere la cosa».
In definitiva, in punto di diritto, sia il terzo custode del pegno che il creditore pignoratizio, «a conoscenza di informazioni suscettibili di determinare il sensibile deterioramento (o addirittura la completa erosione) del valore economico del bene in garanzia», sono responsabili, in solido, per i danni subiti dal debitore: il custode «per non aver mantenuto il bene al valore economico corrispondente a quello originario»; il creditore «per non aver attivato lo strumento conservativo della vendita anticipata ex art. 2795 c.c.».
La S. C. conclude osservando che, nel caso di specie, sebbene sia chiaro che, «ove siano pignorate le azioni di una società», la conoscenza di «notizie sull’imminente dissesto finanziario della società emittente» importi l’obbligo di «fornirle immediatamente al debitore» (al fine di «procedere alla tempestiva ed efficiente liquidazione del bene»), e nonostante sia pacifico che «Banca Alfa Private Banking è stata designata quale terzo custode delle azioni Omega Spa ed ha accettato la nomina», il giudice del rinvio, in ogni caso, dovrà accertare «se creditore e terzo custode fossero effettivamente o meno a conoscenza dell’imminente dissesto finanziario della Omega Spa, prima che fosse dichiarato il fallimento della predetta società». Ad avviso della Corte, infatti, tale accertamento in fatto non risulta sufficientemente provato agli atti e, pertanto, la questione risulta «tuttora controversa in causa e non esaminata dal giudice d’appello che ha (erroneamente) definito la lite ‘in diritto’».
Le massime
- In tema di pegno di azioni, il creditore pignoratizio che sia a conoscenza di informazioni sul rischio di un sensibile deterioramento del valore economico del bene in garanzia è obbligato a fornirle immediatamente al debitore e a procedere alla tempestiva ed efficiente liquidazione dei beni oggetto della garanzia; ove le parti si siano avvalse della facoltà prevista dall’art. 2786, comma 2, c.c., analogo obbligo di custodia delle cose date in pegno, improntato al superiore principio di buona fede, sorge in capo al terzo, potendo la sua responsabilità concorrere in solido con quella del creditore (Cassazione, massimario).
- A fronte di un rischio oggettivo e sensibile di deterioramento del bene in garanzia (nel caso di specie si tratta di pegno di azioni), al custode la legge non attribuisce la prerogativa di procedere all’eventuale liquidazione anticipata del medesimo, essendo tale strumento riservato al solo creditore; tuttavia, nell’ipotesi in cui il custode ed il creditore pignoratizio siano a conoscenza di informazioni suscettibili di determinare il sensibile deterioramento (o addirittura la completa erosione) del valore economico del bene in garanzia, entrambi i soggetti rispondono in solido dei danni sofferti dal debitore, il primo, per non aver mantenuto il bene al valore economico corrispondente a quello originario, il secondo, per non aver attivato lo strumento conservativo della vendita anticipata ex art. 2795 cod. civ. (Il caso.it).