L’Ordinanza n. 34608 del 12 dicembre 2023 della Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione offre un interessante spunto al fine di chiarire ulteriormente che la ricognizione del debito, se ed in quanto contenuta in un accordo avente data certa anteriore al fallimento, costituisce prova del credito; pertanto, spetta al Fallimento dimostrare l’invalidità o l’inesistenza del rapporto sottostante, avendo la giurisprudenza di legittimità escluso l’inopponibilità della ricognizione per la pretesa terzietà del curatore.
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Con decreto n. 4405/2019, depositato in data 19/07/2019, il Tribunale di Torre Annunziata, all’esito di c.t.u. e prova testimoniale, rigettava l’opposizione allo stato passivo ex art. 98, l. fall., proposta dal fornitore in relazione al Fallimento di una Farmacia, per mezzo della quale veniva richiesta l’ammissione al passivo della procedura sulla scorta di un atto di ricognizione del debito avente data certa anteriore al Fallimento.
Nel relativo giudizio, per ciò che rileva in questa sede, il Tribunale affermava che la ricognizione di debito avente data certa anteriore al fallimento del suo autore non determina la presunzione di esistenza del rapporto fondamentale, trattandosi di un documento liberamente apprezzabile al pari di quanto avviene per la confessione stragiudiziale resa dal fallito ad un terzo, quale è il curatore fallimentare.
Il fornitore presentava Ricorso per Cassazione, denunciando violazione e/o falsa applicazione dell’ art. 1988, c.c., in relazione all’ art. 2697, c.c., sul rilievo che la ricognizione del debito, in quanto contenuta in un accordo avente data certa anteriore al fallimento, costituisse prova del credito e che, pertanto, spettasse al Fallimento provare l’inesistenza o l’invalidità del rapporto.
L’Ordinanza n. 34608 del 12 dicembre 2023
La Corte dichiara fondato il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo.
Gli Ermellini prendono le mosse dalla natura giuridica della ricognizione del debito, la quale produce effetto conservativo di un preesistente rapporto fondamentale e determina astrazione processuale della causa debendi e la conseguente relevatio ab onere probandi, senza però costituire autonoma fonte di obbligazione in quanto presuppone l’esistenza e la validità del rapporto fondamentale (Cass. SS. UU. 6459/2020, Cass. 26334/2016, Cass. 20689/2026, Cass. 11392/2016, Cass. 13506/2014, Cass. 11332/2009, Cass. 27406/2008, Cass. 15575/2000). La tesi del ricorrente trova conforto nell’oramai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “la ricognizione di debito avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento del suo autore è opponibile alla massa dei creditori, in quanto deve presumersi l’esistenza del rapporto fondamentale, salva la prova – il cui onere grava sul curatore fallimentare – della sua inesistenza o invalidità” (Cass. 12567/2023, ex multis Cass. 3722/2023, 5428/2022, 2972/2022, 39123/2021, 2431/2020, 10215/2019, 24383/2018, 9929/2018, 26924/2017, 24690/2017). Si tratta, invero, di un indirizzo coerente con il principio per cui, in tema di assegni bancari – equiparati alla promessa di pagamento nei rapporti tra traente e prenditore – è possibile ottenere l’ammissione al passivo fallimentare per un importo corrispondente a quello del titolo, in forza della presunzione di cui all’art. 1988, c.c., fin quando il curatore – che in tal senso non può essere considerato terzo rispetto al fallito – non vinca tale presunzione fornendone prova contraria. Del resto, nella giurisprudenza di legittimità è rimasto isolato il precedente che ha equiparato la ricognizione del debito alla confessione stragiudiziale liberamente apprezzabile dal giudice (Cass. 10215/2019). Altresì, si è evidenziato che nell’ipotesi da ultimo richiamata il riconoscimento del debito era contenuto in atto pubblico unilaterale sottoscritto dalla società poi fallita mentre, nel caso in esame, il riconoscimento dell’esposizione debitoria ha una fonte di carattere bilaterale e contrattuale, con funzione in parte transattiva e in parte di accertamento (Cass. 39123/2021). Il principio secondo cui il curatore assume una posizione di terzo rispetto al soggetto fallito, sebbene valido ed attuale, non è così monolitico da sottrarsi al confronto con le peculiarità di specifiche disposizioni normative, anche in tema di tecniche probatorie in ambito processuale, come affermato dalla medesima Corte in tema di applicabilità del principio di non contestazione nel giudizio di accertamento di crediti e dei diritti dei terzi in sede fallimentare, rispetto al quale la terzietà del curatore diviene irrilevante. Gli Ermellini, per vero, hanno sempre distinto la ricognizione del debito dalla confessione, comportando la prima una presunzione relativa di esistenza del rapporto fondamentale.
Riassumendo, ciò che conta è che trattasi di piani diversi: la ricognizione, al di là dei suoi profili processuali, rappresenta pur sempre un titolo di fonte negoziale, come tale azionabile in sede concorsuale ed opponibile alla massa, purché contenuta – come nel caso in esame – in un atto munito di data certa anteriore al fallimento.
In questo senso va letta la precisazione della Corte secondo cui a fronte della data certa dell’accordo quadro, spettava al curatore – terzo ai fini dell’opponibilità delle scritture sottoscritte dal debitore, ma successore del medesimo nella gestione dei pregressi rapporti obbligatori – dimostrare l’assenza o l’invalidità del rapporto fondamentale, al fine di superare la predetta presunzione di cui all’art. 1988, c.c.
Per tutti questi motivi, la Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo
La ricognizione di debito avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento del suo autore è opponibile alla massa dei creditori, in quanto deve presumersi l’esistenza del rapporto fondamentale, salva la prova – il cui onere grava sul curatore fallimentare – della sua inesistenza o invalidità.