L’eccezione di nullità o inesistenza del contratto di cessione del credito, a tutela dell’interesse a “non pagar male” del debitore ceduto

L’Ordinanza n. 30536 della prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione – depositata in Cancelleria il 3 novembre 2023 – offre l’occasione per chiarire bene che tipo di tutela è prevista nell’ordinamento per il debitore ceduto, in presenza di un contratto di cessione del credito controverso. La Corte ha ribadito, infatti, che «la nullità (o l’inesistenza) del contratto di cessione di crediti può essere eccepita anche dal debitore ceduto», avendo questi interesse «a non “pagar male”», ovvero a «effettuare il pagamento in favore di chi è effettivamente legittimato a riceverlo».

 

Indice

 

Il caso

Nel caso in esame, oggetto del contendere è un Decreto Ingiuntivo emesso a carico della società Alfa, «con il quale le è stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 620.000,00, oltre accessori».

Creditore istante era la Banca Beta, la quale agiva come «cessionaria del credito originariamente vantato nei confronti dell’opponente dalla Omega Srl».

L’opposizione della debitrice ceduta era fondata sulla «circostanza che, in altro giudizio, la Alfa Srl avesse impugnato di falso il documento in cui era stata perfezionata la cessione del credito dalla Omega Srl».

Il rigetto di tale opposizione veniva, però, confermato anche in appello, in quanto – ad avviso dei giudici del merito – non vi era ancora una sentenza passata in giudicato che attestasse l’effettiva falsità del documento contrattuale, «dato che il diverso procedimento si era concluso solo in primo grado» e non era stata fornita prova del fatto che «il relativo provvedimento fosse già passato in giudicato», né si riscontrava la sussistenza delle circostanze per disporre la sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c.

Ricorreva pertanto per Cassazione la Alfa srl, articolando le proprie doglianze in tre motivi, mentre la Banca resisteva con controricorso.

 

L’Ordinanza n. 30536 del 3 novembre 2023

La S. C. riconosce la fondatezza di tutte le ragioni di parte ricorrente, a cominciare dal primo motivo col quale la debitrice ceduta – poiché «non era vero che nell’atto di appello non aveva censurato l’affermazione del Tribunale secondo cui, anche ove la scrittura privata di cessione fosse risultata falsa, il pagamento in favore della banca sarebbe stato comunque ben eseguito» – aveva contestato, nell’ordine: a) «errore in procedendo»; b) «travisamento della domanda (sub specie di causa petendi)»; c) «mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato»; d) «violazione e falsa applicazione dell’art. 112  c.p.c.». Sul punto, la fondatezza della doglianza debitoria emerge ictu oculi, in quanto «la ricorrente ha documentato, trascrivendo nel ricorso alcuni estratti del proprio atto di appello», tutti gli elementi puntuali ed esatti con i quali la menzionata affermazione del giudice di merito è stata «specificamente censurata».

Il secondo motivo – quello più sostanzioso – è parimenti fondato in quanto la dedotta «violazione e falsa applicazione degli artt. 1260, 1264 e 1421 c.c.», relativa alla tesi dei giudici del gravame secondo cui «il debitore ceduto non aveva interesse alla veridicità ed esistenza della scrittura di cessione di credito», trova conferma nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale «la nullità (o l’inesistenza) del contratto di cessione di crediti può essere eccepita anche dal debitore ceduto, in relazione all’interesse che egli ha a non “pagar male”, e quindi ad effettuare il pagamento in favore di chi è effettivamente legittimato a riceverlo (cfr. Cass., 11 marzo 1996, n. 2001 e Cass., 25 maggio 2007, n. 12322)». Risulta pertanto accertato l’errore dei giudici di merito, in entrambi i gradi del giudizio, nella parte in cui affermano che «il pagamento eseguito dal debitore ceduto sarebbe stato comunque liberatorio». Sussiste infatti un interesse giuridicamente protetto del debitore ceduto «a non essere esposto ad un duplice pagamento», ovvero esattamente ciò che accadrebbe nel caso in cui, «una volta accertata l’invalidità del negozio di cessione (della quale, come nel caso di specie, il debitore era pienamente consapevole)», il pagamento effettuato dalla società debitrice alla banca cessionaria venisse, poi, legittimamente contestato dal creditore originario.

Da ultimo, la Corte osserva come sia da accogliere anche il terzo motivo di ricorso – «violazione e falsa applicazione dell’art. 278 c.p.c., art. 279 c.p.c., comma 2, n. 4 e artt. 340, 282, 336, 337, 295 c.p.c.» – in quanto i giudici del gravame non hanno in alcun modo confutato «la prospettazione della parte ricorrente, secondo cui il documento impugnato di falso rappresentasse l’unico elemento su cui era fondata la pretesa della banca, e quindi costituisse un elemento costitutivo di tale pretesa». È appena il caso di ricordare il principio di diritto, già enunciato da Cass. n. 14576/2011 (e qui riportato integralmente in calce, nella massima n. 2), secondo cui per la sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c. occorre stabilire, appunto, se il giudizio di falso sul documento impugnato «costituisca il passaggio necessario della decisione in ordine ad un elemento costitutivo della pretesa dell’attore o di un’eccezione decisiva del convenuto in tale causa». Sul punto specifico, dunque, la Corte d’Appello è caduta in un duplice errore, in primo luogo, perché «non ha disconosciuto che la scrittura impugnata di falso fosse un elemento costitutivo della pretesa della Banca», in secondo luogo, perché non ha correlativamente riconosciuto «la causa in cui è stata accertata in primo grado la falsità della cessione di credito», come causa avente «natura pregiudiziale rispetto alla presente».

Per tutti questi motivi, la sentenza in esame è stata cassata e rinviata alla Corte d’Appello competente, la quale giudicherà «in diversa composizione», attenendosi «al principio di diritto sopra enunciato nell’accogliere il secondo motivo di ricorso», provvedendo altresì al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

 

Le massime

  1. La nullità (o l’inesistenza) del contratto di cessione di crediti può essere eccepita anche dal debitore ceduto, in relazione all’interesse che egli ha a non “pagar male”, e quindi ad effettuare il pagamento in favore di chi è effettivamente legittimato a riceverlo, e ciò in relazione all’interesse a non essere esposto ad un duplice pagamento, potendo quello già eseguito, una volta accertata l’invalidità del negozio di cessione, non essere riconosciuto come liberatorio.
  1. Ai fini della sospensione necessaria del processo, nel quale sia stato prodotto il medesimo documento, impugnato con querela di falso in via principale in altro giudizio, occorre stabilire se l’eventuale dichiarazione di falsità del documento costituisca non già soltanto uno dei tanti elementi di valutazione, dei quali il giudice della causa asseritamente pregiudicata deve tenere conto nella formazione del proprio convincimento (ciò che implicherebbe, tutt’al più, un rapporto di pregiudizialità logica, ma non giuridica), bensì se tale dichiarazione costituisca il passaggio necessario della decisione in ordine ad un elemento costitutivo della pretesa dell’attore o di un’eccezione decisiva del convenuto in tale causa.

 

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