Pagamento dell’indennizzo nel contratto di assicurazione: onere della prova e rilevanza della consulenza tecnica di tipo percipiente

Con l’Ordinanza n. 31251 del 9 novembre 2023, la Terza Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione ha ribadito alcune nozioni fondamentali per una corretta suddivisione dell’onere della prova nel contratto di assicurazione, precisando in particolare che l’assicurato, per ottenere dall’assicuratore il pagamento dell’indennizzo pattuito, dovrà solo «dimostrare che si è verificato il fatto avverso previsto nella polizza, che detto fatto sia derivato da una causa prevista dalla polizza e che esso abbia prodotto gli effetti previsti dalla polizza», mentre il giudice – nei casi in cui «non abbia le cognizioni tecnico-scientifiche necessarie ed idonee a ricostruire e comprendere la fattispecie concreta in esame nella sua meccanicistica determinazione ed evoluzione» – potrà anche discostarsi dalle conclusioni del Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) incaricato, «ma solo motivando in ordine agli elementi di valutazione adottati e agli elementi probatori utilizzati per addivenire all’assunta decisione».

 

Indice

 

Il caso

La vicenda prende le mosse da fatti accaduti nel 2006, quando l’assicurato chiedeva al Tribunale di condannare la sua compagnia assicurativa al risarcimento dei danni – «quantificati in Euro 50.000,00 o nella diversa somma ritenuta di giustizia, oltre accessori» – causati da un «sovraccarico di neve sul suo fabbricato». La convenuta assicurazione si costitutiva nei termini, «contestando la pretesa, nell’an e nel quantum, in base alle condizioni generali di polizza». Nella documentazione acquisita agli atti, emergeva in particolar modo la presenza di una perizia del CTU «diretta ad accertare la conformità del fabbricato alle vigenti norme relative ai sovraccarichi di neve». Il giudice di primo grado – anche alla luce del rilievo dato alla documentazione di parte attrice («domanda di condono, relativa documentazione integrativa e concessione in sanatoria del Comune») – condannava pertanto l’assicurazione «al risarcimento del danno in misura di Euro 5.580,43, da rivalutarsi e da diminuirsi della franchigia, oltre alle spese di lite».

In appello, parte attrice chiedeva il riconoscimento del suo «diritto all’indennizzo anche per i danni subiti dal sistema di filtraggio e le parti di tamponatura e plafonatura del fabbricato ex art. 1.2.3 delle garanzie speciali in misura di Euro 25.000,00 o diversa oltre interessi, spese e svalutazione». Domandava altresì, «in via istruttoria, un supplemento peritale», al fine di accertare – coerentemente con quanto documentato in primo grado dal consulente tecnico di parte (CTP)«l’indennizzabilità, in base alle condizioni di polizza, dei danni derivati da infiltrazioni conseguenti a sovraccarico di neve», per le predette ulteriori voci immotivatamente escluse dal CTU nella sua relazione peritale. I giudici del gravame decidevano invece per l’accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla compagnia assicuratrice, col quale quest’ultima aveva chiesto e ottenuto «la declaratoria di inoperatività della polizza ex art. 1.2.3 delle condizioni generali di contratto con conseguente restituzione di quanto corrisposto».

Tizio – condannato anche alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio – ricorreva pertanto in Cassazione, articolando le proprie doglianze in quattro motivi. La compagnia di assicurazioni non svolgeva invece alcuna difesa nel giudizio di legittimità.

 

L’Ordinanza n. 31251 del 9 novembre 2023

La Corte accoglie il primo dei quattro motivi di ricorso, con il quale parte ricorrente denuncia la «violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg., e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3», con specifico riferimento al «caso in cui il fabbricato non sia conforme alle vigenti normative relative ai sovraccarichi di neve». Il richiamato art. 1.2.3 delle Condizioni generali di polizza, in effetti, prevedeva che dalla non conformità a quanto previsto dalla normativa di settore derivasse «l’inoperatività della garanzia». Ma su chi va fatto gravare l’onere di tale prova?

Sul punto, occorre evidenziare subito che il rigetto della domanda di Tizio, in appello, deriva da una lettura errata del «principio di diritto affermato da Cass. n. 1558/2018». Per quanto sia vero, infatti, che «nel giudizio promosso dall’assicurato nei confronti dell’assicuratore ed avente ad oggetto il pagamento dell’indennizzo assicurativo è onere dell’attore provare che il rischio avveratosi rientra nei “rischi inclusi” e, cioè, nella categoria generale dei rischi oggetto di copertura assicurativa», allo stesso tempo, la S. C. aveva chiaramente precisato che «qualora il contratto contenga clausole di delimitazione del rischio indennizzabile (soggettive, oggettive, causali, spaziali, temporali)», l’onere della prova va fatto gravare, invece, sull’assicurazione convenuta in giudizio, che dovrà pertanto «dimostrare il fatto impeditivo della pretesa attorea e, cioè, la sussistenza dei presupposti fattuali per l’applicazione di dette clausole». Non può dunque considerarsi corretta la lettura dei giudici del gravame sulla pretesa carenza probatoria della documentazione depositata dalla parte che ha subito il danno da risarcire.

Nella materia assicurativa, come è noto, «i fatti avversi, cui l’assicurato è teoricamente esposto, possono essere classificati in tre categorie»: a) rischi inclusi; b) rischi esclusi; c) rischi non compresi. Quest’ultima categoria non attiene chiaramente alla distinzione tra ciò che rientra o risulta estraneo al novero di tutte le ipotesi di rischio per le quali «il contratto accorda all’assicurato il pagamento dell’indennizzo», individuando al contrario quegli specifici rischi che, pur essendo astrattamente risarcibili (“rischi inclusi”, quindi), non daranno luogo al pagamento dell’indennizzo per precipua pattuizione aggiuntiva. In presenza, quindi, di una di queste cosiddette “clausole di delimitazione del rischio” si potrà stabilire, ad esempio, che «un contratto di assicurazione contro i danni da incendio» preveda l’esclusione della «indennizzabilità degli incendi provocati dal fulmine».

Nel caso di specie, il più volte richiamato art. 1.2.3 delle Condizioni generali di assicurazione – una volta definito il rischio assicurato in caso di “Sovraccarico di neve” («la Compagnia indennizza i danni materiali e diretti causati alle cose assicurate da sovraccarico di neve e conseguente crollo totale o parziale del tetto, delle pareti, dei lucernari e serramenti in genere») – individuava, appunto, due specifiche clausole di esclusione della copertura assicurativa: a) «sono comunque esclusi i danni causati da valanghe, slavine, gelo, ancorché conseguenti ad evento coperto dalla presente estensione di garanzia, nonché ai fabbricati in costruzione od in corso di rifacimento»; b) «la garanzia non è operante nel caso in cui il fabbricato non sia conforme alle vigenti norme relative ai sovraccarichi di neve».

Per un corretto riparto dell’onere della prova, «in applicazione del principio di diritto sopra richiamato (peraltro, evocato anche nella sentenza impugnata)», l’assicurato può quindi limitarsi a fornire la prova del «fatto costitutivo della sua pretesa all’indennizzo», ovvero del fatto che il sovraccarico di neve avesse «provocato danni materiali e diretti alle cose assicurate (c.d. rischio incluso)», mentre grava interamente ed esclusivamente sulla compagnia di assicurazione l’onere della prova del «fatto impeditivo della pretesa attorea», ovvero – nel caso in esame – della circostanza secondo cui «il fabbricato non fosse conforme alle vigenti norme relative ai sovraccarichi di neve (c.d. rischio non compreso)», in coerenza con la sollevata «eccezione di non indennizzabilità».

La Corte osserva, da ultimo, come anche il secondo motivo di ricorso dell’assicurato – «violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4» – risulti pienamente fondato. Il collegio del gravame aveva infatti accolto l’appello incidentale della compagnia assicuratrice anche sulla scorta delle seguenti considerazioni: 1) che «l’eventuale operatività dell’esclusione dall’obbligo di dichiarazione di idoneità statica non prova il rispetto della normativa»; 2) che «le valutazioni fattuali in proposito espresse dal c.t.u. non sono supportate da verifiche tecniche documentate e appaiono contraddittorie rispetto alla non meglio precisata, “carenza nei margini di sicurezza per quanto concerne l’elemento di finitura delle coperture”». Ed invero, dagli atti di causa, emerge la «documentazione prodotta dal ricorrente (domanda di condono e dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà)», che attesta la sanatoria di «un abuso realizzato attraverso l’ampliamento di un edificio preesistente». Tale sanatoria, «sicuramente operante sul piano urbanistico», ad avviso del CTU, «poteva ritenersi strutturalmente idonea in considerazione del richiamo della L. n. 724 del 1994 , alla L. n. 47 del 1985, art. 35 (che prevede l’obbligo di dichiarazione di idoneità statica solo per edifici di volumetria superiore a 450 mc.)». Nondimeno, per consolidata giurisprudenza di Cassazione (cfr. Cass. n. 200/2021, tra le più recenti), «pur essendo peritus peritorum, il giudice deve fare invero ricorso a una consulenza tecnica di tipo percipiente, quale fonte oggettiva di prova (cfr. Cass. 22/2/2016, n. 3428; Cass. 30/9/2014, n. 20548; Cass. 27/8/2014, n. 18307; Cass. 26/2/2013, n. 4792; Cass. 13/3/2009, n. 6155; Cass. 19/1/2006, n. 1020)» tutte le volte in cui egli «non abbia le cognizioni tecnico-scientifiche necessarie ed idonee a ricostruire e comprendere la fattispecie concreta in esame nella sua meccanicistica determinazione ed evoluzione». Naturalmente, il giudice, «argomentando su basi tecnico-scientifiche e logiche (cfr. Cass. 26/2/2013, n. 4792; Cass. 13/3/2009, n. 6155; Cass. 19/1/2006, n. 1020)» si potrà anche discostare dalle risultanze dell’elaborato peritale, «ma solo motivando in ordine agli elementi di valutazione adottati e agli elementi probatori utilizzati per addivenire all’assunta decisione (cfr. Cass. 3/3/2011, n. 5148)», e in ogni caso «specificando le ragioni per cui ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del CTU (cfr. Cass. 26/8/2013, n. 19572; Cass. 7/8/2014, n. 17747)». Nel caso in esame, «la corte territoriale ha disatteso le conclusioni del c.t.u., ma non ha affatto spiegato le ragioni per le quali le stesse dovessero considerarsi scientificamente erronee. Con la conseguenza che anche sul punto la sentenza va cassata». In accoglimento dei primi due motivi di ricorso – e considerando quindi assorbiti il terzo e il quarto motivo – la Corte pertanto «cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione», alla competente corte di merito che giudicherà «in diversa Sezione o in diversa composizione».  

 

Le massime

  1. In materia di contratto di assicurazione, nel giudizio promosso nei confronti dell’assicuratore ed avente ad oggetto il pagamento dell’indennizzo pattuito, il fatto costitutivo della pretesa dell’assicurato è rappresentato dall’avverarsi di un rischio corrispondente a quello descritto nella polizza. Pertanto, l’assicurato, ha l’onere di dimostrare che si è verificato il fatto avverso previsto nella polizza, che detto fatto sia derivato da una causa prevista dalla polizza e che esso abbia prodotto gli effetti previsti dalla polizza.
  2. Allorquando non abbia le cognizioni tecnico-scientifiche necessarie ed idonee a ricostruire e comprendere la fattispecie concreta in esame nella sua meccanicistica determinazione ed evoluzione, il giudice – pur essendo peritus peritorum – deve fare invero ricorso a una consulenza tecnica di tipo percipiente, quale fonte oggettiva di prova, sulla base delle cui risultanze è tenuto a dare atto dei risultati conseguiti e di quelli viceversa non conseguiti o non conseguibili, in ogni caso argomentando su basi tecnico-scientifiche e logiche. Al riguardo va precisato che il giudice può anche disattendere le risultanze della disposta CTU percipiente, ma solo motivando in ordine agli elementi di valutazione adottati e agli elementi probatori utilizzati per addivenire all’assunta decisione, specificando le ragioni per cui ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del CTU.

 

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