Diffamazione a mezzo social network: la Cassazione specifica che, anche su Twitter (*), i rigorosi limiti al libero esercizio del diritto di critica restano validi, nonostante la brevità dei messaggi

L’ordinanza n. 13411 della Suprema Corte di Cassazione, depositata in Cancelleria il 16 maggio 2023, torna sulla questione della diffamazione realizzata per il tramite di un social network, confermando – anche per i messaggi diffamatori inviati via Twitter – l’applicabilità della sanzione penale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 595 c.p., con tutto quello che ne consegue sotto il profilo risarcitorio: illecito aquiliano, quindi (2043 c.c.), con una valutazione in via equitativa del danno (art. 1226 c.c.), non essendo esso determinabile nel suo esatto ammontare, facendo ricorso alle categorie tradizionali del danno emergente e del lucro cessante (art. 1223 c.c.).

 

Indice

 

Il caso

L’Ente Alfa citava in giudizio Caio, chiedendo al giudice di condannarlo a risarcire tutti i danni conseguenti al contenuto diffamatorio di diversi suoi messaggi pubblicati su Twitter, noto social network dei 140 caratteri, poi estesi a 280 per tutti e, successivamente, con la possibilità di ottenere anche un più ampio formato di pubblicazione, ma solo con l’accesso come utenti premium (a pagamento, quindi).

Nello specifico, l’ente – il cui compito istituzionale attiene a funzioni di vigilanza – evidenziava come l’insieme dei messaggi inviati da Caio, a partire da maggio 2012, assumesse il carattere di una vera e propria campagna diffamatoria, tesa a far sì che l’opinione pubblica potesse pensare che l’istituto, venendo meno ai suoi doveri, «agisse e avesse agito col fine di difendere gli interessi dei soggetti vigilati, in collusione con taluni operatori del mercato finanziario colpevoli di gravi illeciti».

Il giudice di primo grado riconosceva, quindi, il carattere diffamatorio dei messaggi che erano stati prodotti in atti e, conseguentemente, condannava Caio a risarcire i danni, per l’ammontare di euro 15mila, oltre interessi. La Corte di Appello, successivamente, confermava sia la condanna, sia l’ammontare del danno liquidato. Caio presentava, così, ricorso per Cassazione, articolandolo in quattro motivi. L’Ente Alfa resisteva, depositando controricorso.

 

L’ordinanza n. 13411 del 16 maggio 2023

La S. C. di Cassazione esaminava congiuntamente, per connessione unitaria, i primi due motivi di ricorso elaborati dai legali di Caio, dichiarando la loro infondatezza.

In entrambi i motivi di ricorso, in effetti, Caio richiamava la violazione e falsa applicazione delle medesime norme – ovvero, segnatamente, degli artt. 21 Cost., 51 e 595 c.p., nonché del 2043 c.c. – sotto due diversi profili. Nel primo motivo la difesa di Caio asseriva che «le frasi avrebbero dovuto considerarsi libera espressione di un pensiero critico rivolto in modo generico all’attività istituzionale dell’Ente Alfa», avendo riferimento in particolar modo al contesto da cui erano state estrapolate, ovvero tenendo presente che «le dichiarazioni erano state rese tramite pubblicazione di tweet» e che, pertanto, erano da valutare con specifico riferimento al «metodo informativo a essa sotteso». Nel secondo motivo, si sosteneva inoltre che il limite della continenza era «da valutare in termini meno rigorosi nel caso dell’esercizio del diritto di critica» di Caio, in quanto era critica politica, svolta nelle sue qualità di parlamentare della Repubblica, ex senatore e membro di commissioni parlamentari di inchiesta attinenti propri ai settori di attività oggetto della vigilanza istituzionale dell’ente che si è ritenuto diffamato.

Gli Ermellini, sul punto, chiarivano come entrambe le corti di merito avessero «valutato motivatamente le frasi», reputandole «offensive al di là del limite della continenza». In particolare, il superamento di tale limite era stato riscontrato nel tenore complessivo delle espressioni utilizzate, dato che «in sostanza, l’Ente Alfa era stata equiparata al vertice di organizzazioni criminali», insinuando, nel pubblico che leggeva questi messaggi, l’idea che l’ente fosse risultata in qualche modo «connivente e concorrente in operazioni e anche in reati finanziari commessi ai danni di risparmiatori» e, definendo per giunta i suoi dirigenti come «incompetenti imbonitori […] privi di qualsiasi senso del limite nel rendere a loro volta dichiarazioni». Dal momento che «resta sempre estraneo al giudizio di legittimità l’accertamento della capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione (v. Cass. Sez. 3 n. 18631-22, Cass. Sez. 3 n. 5811-19)», la S. C. avrebbe potuto intervenire, per cassare l’operato dei giudici del merito, solo in caso di omesso esame «della sussistenza dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell’interesse pubblico alla diffusione delle notizie, oltre che naturalmente al sindacato della congruità e logicità della motivazione secondo la previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ove applicabile».

I giudici della Suprema Corte si sono soffermati, quindi, sulla pretesa di una valutazione attenuata del rigoroso giudizio sulla continenza delle espressioni scelte per esercitare, via social network, la propria libertà di pensiero ex art. 21 Cost.

Ad avviso della Corte, «contrariamente a ciò che assume il ricorrente», il diritto di critica politica, «sebbene consenta il ricorso a toni aspri e di disapprovazione più pungenti e incisivi rispetto a quelli comunemente adoperati nei rapporti tra privati», non si sottrae ai canoni elaborati con specifico riferimento al «limite della continenza intesa come correttezza formale dell’esposizione e non eccedenza dai limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse (v. Cass. Sez. 3 n. 11767-22, Cass. Sez. 3 n. 841-15)». In tal senso, dunque, la funzione politica di Caio e i suoi incarichi da parlamentare non danno alcun diritto a valutazioni meno rigorose degli stessi identici principi che valgono per tutti, nel bilanciamento tra i diversi interessi costituzionali da tutelare.

Per quel che concerne, poi, la specificità del mezzo Twitter, ovvero il «breve messaggio di testo, per sua natura assertivo o scarsamente motivato», senz’altro «il post in Twitter non si sottrae al necessario rispetto della continenza espressiva», solo ed esclusivamente per questo motivo. Così ragionando, infatti, si arriverebbe a teorizzare e giustificare l’esistenza di «una manifestazione del pensiero irresponsabile sol perché veicolata tramite il mezzo prescelto», ciò che non è ammissibile nemmeno per il diritto di satira, intesa quale «modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica». Per quanto la satira goda di un livello di tutela talmente elevato per cui, «nel paradosso della narrazione», persino l’obbligo di riferire fatti veri possa ritenersi frequentemente derogabile, essa in ogni caso «resta soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito (cfr. Cass. Sez. 1 n. 6919-18)». Per tutti questi motivi è da ritenersi assolutamente infondata la tesi del ricorrente Caio, secondo cui, essendo Twitter il social network per antonomasia dei «brevi ma incisivi messaggi di testo», la valutazione di ciascuno dei suoi contenuti andrebbe fatta «in modo meno rigoroso quanto al necessario rispetto dei noti limiti che circondano l’esercizio del diritto di critica».

La Corte ha, infine, specificato come il terzo motivo di ricorso – in estrema sintesi: se c’era diffamazione, non era riferibile all’Ente Alfa, ma solo al suo dirigente individualmente nominato – sia infondato in quanto è agli atti il testo dei messaggi in cui «il giudizio volgare e sprezzante è stato rivolto al Dott. Sempronio, non in quanto tale, ma proprio in relazione alla sua posizione di presidente dell’Ente Alfa», con il che risulta ineccepibile e incensurabile «l’inferenza della corte d’appello, la quale d’altronde integra anch’essa una valutazione in fatto, circa la lesività dell’onore dell’istituto medesimo siccome rappresentato dal suo presidente».

Da ultimo, con specifico riferimento al quarto motivo di ricorso (liquidazione del danno, senza che ne fosse stata data in giudizio la relativa prova), gli Ermellini evidenziavano l’inammissibilità di tale censura per la sua estrema genericità, «a fronte della puntuale ratio della sentenza impugnata», la quale aveva ben chiarito che si trattava di danno non patrimoniale, che – in entrambi i gradi di giudizio – era stato ritenuto provato nel merito. È appena il caso di ricordare che il consolidato orientamento della S. C. in materia prevede che «l’esercizio del potere equitativo del giudice di merito», in sede di legittimità, possa essere censurato solo quando questi «si sia limitato a richiamare genericamente i criteri utilizzati nelle ipotesi di diffamazione, senza precisare in quali termini l’importo liquidato sia conforme ai criteri medesimi, anche alla luce delle peculiarità del caso concreto (Cass. Sez. 3 n. 16908-18)». Nel caso di specie, «le ragioni della conferma della decisione di primo grado» sono state dettagliatamente vagliate «in rapporto alle peculiarità del caso concreto», tenendo conto in particolar modo «della reiterazione delle dichiarazioni», nonché «della capacità di penetrazione del mezzo di diffusione (essendo notoria la facile e ampia accessibilità da parte di un numero vasto ed indeterminato di persone alla rete)», unita alla rilevante e disonorevole circostanza secondo cui, come si è visto, Caio aveva ingiustamente attribuito all’Ente Alfa «una attività illecita grave» e per di più «opposta e contrastante con le specifiche finalità e attività istituzionali di vigilanza e controllo» che le sono precipue.

 

La massima

È infondato affermare che nell’attuale contesto sociale l’utilizzo di un social-network, in particolare Twitter, consentendo di esprimere e condividere brevi ma incisivi messaggi di testo, «imponga una valutazione dei medesimi in modo meno rigoroso quanto al necessario rispetto dei noti limiti che circondano l’esercizio del diritto di critica» (Quotidiano Giuridico).

(*) A partire dallo scorso 23 luglio, il nuovo proprietario Elon Musk ha modificato il nome e il logo della storica piattaforma che adesso si chiama X.

 

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